Più immigrazione vuol dire più reati? I numeri raccontano tutta un’altra storia

Più immigrazione vuol dire più reati? I numeri raccontano tutta un’altra storia

di Simona Musco

www.linkiesta.it

Nelle carceri italiane un terzo dei detenuti è straniero. Ma il numero di sbarchi non ha ingrossato le file, anzi: il tasso di detenzione negli ultimi anni si è abbassato. Se molti sono ancora convinti della relazione tra immigrazione e criminalità la colpa è solo della disinformazione

Che rapporto c’è tra immigrazione e reati? La teoria, ben nota, e di destra, è che ci sia una stretta correlazione tra i due fattori: più sbarchi uguale più migranti e, di conseguenza, più reati. L’equazione a livello elettorale funziona benissimo, a beneficio della Lega di Salvini. Ma la verità è che questa relazione è una bufala. Almeno secondo i dati diffusi dai ministeri dell’Interno e della Giustizia, che periodicamente riportano i numeri degli arrivi sulle coste italiane e delle presenze in carcere suddivise per nazionalità.

I dati sono tanti e vanno analizzati con attenzione. Un primo fatto: i detenuti presenti nelle sovraffollate carceri italiane, stando alle statistiche di via Arenula aggiornate al 28 febbraio, sono 60.348, di cui 20.325 stranieri. Un terzo delle persone in carcere, dunque, viene da un altro Paese. Una percentuale troppo elevata? Certo, ma è importante capire chi sono i detenuti in carcere e da dove provengono.

Anche questa volta è il ministero della Giustizia a rispondere alla domanda. Si tratta di numeri asettici, che non forniscono dettagli sul tipo di reato commesso e su come quelle persone siano arrivate in Italia. Potrebbe trattarsi dunque anche di migranti regolari sul territorio. Ma poco importa, perché secondo la vulgata lo straniero è cattivo a prescindere dal possesso dei documenti. E allora tanto vale capire da dove vengano questi cattivi.

La maggior parte degli stranieri presenti nelle carceri italiane viene dal Marocco. Si tratta di 3.762 persone, su una presenza totale in Italia di circa 416mila. Vengono poi gli albanesi, con 2.594 detenuti su una popolazione di 440.465 persone e i romeni, che non sono migranti, ma europei a tutti gli effetti (2.534 detenuti su un milione e 190mila persone). A seguire ci sono i tunisini, con 2.047 casi su 93.795 presenze.

Non sappiamo da quanto tempo siano in carcere quelle persone e da quanto tempo siano perciò presenti nelle statistiche. Perché sul totale dei presenti sono 12.668 quelli che hanno già ricevuto una condanna e non è specificato se sia o meno definitiva. Quel che però è certo è che il dato cozza con il “cruscotto statistico” del Viminale, cioè il resoconto periodico con cui il ministero ci aggiorna sugli sbarchi in Italia.

Secondo il ministero degli Interni negli ultimi anni il maggior numero di persone arrivate dal mare è tunisino: tra gennaio 2018 e febbraio 2019 ci sono stati 5.275 sbarchi, mentre il numero di persone di nazionalità tunisina in carcere è sceso di 70 unità. Già questo basterebbe a dimostrare, anche se in modo basico, che il rapporto automatico tra arrivi e criminalità è fasullo. Il Viminale rileva che il secondo paese come numero di sbarcati è il Bangladesh, che però conta in carcere “solo” 77 “rappresentati”. A seguire Algeria (482 detenuti), Iraq (54 persone in carcere), Somalia (73 persone), Iran (18 persone), Senegal (511), Guinea (107 in totale), Eritrea (40 detenuti) ed Egitto (586). In molti casi il numero si è ridotto nel giro di un anno di diverse decine. Insomma, le principali popolazioni arrivate dal mare negli ultimi anni “occupano” le carceri per una percentuale bassissima: sono circa 4mila.

Ma non finisce qui. Nel 2003 il numero di migranti in Italia era molto più basso (poco meno di un milione e mezzo di persone), mentre i detenuti stranieri erano 17mila. L’arrivo di altri quattro milioni di persone non ha prodotto, come ci viene raccontato, un aumento del tasso di detenzione, che si è anzi ridotto di un terzo, scendendo dall’1,16% allo 0,40%. Questi numeri sono stati forniti da Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione “Antigone”, che si occupa dei diritti e delle garanzie del sistema penale. Lo studio di Gonnella sfata anche un altro stereotipo, secondo cui gli stranieri commettono i crimini più violenti. E invece solo l’1,1% dei detenuti stranieri è in carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso e, in media, il numero di delitti contro la persona è molto basso rispetto al numero complessivo dei detenuti. La maggior parte dei reati è legata, invece, agli stupefacenti.

E allora perché molti pensano che più stranieri significhi più criminali? La colpa, in buona parte, è delle “strategie di disinformazione”, di cui l’Agcom ha parlato in un recente rapporto. Il volume delle notizie false, stando allo studio, ha raggiunto il livello massimo in corrispondenza delle elezioni del 4 marzo e nel periodo successivo in cui erano in corso le trattative per la formazione del nuovo governo. «Le strategie di disinformazione – si legge nel rapporto – si fondano per lo più su tematiche divisive e con un forte impatto emotivo». E dai dati emerge come immigrazione e terrorismo abbiano segnato la maggiore presenza di disinformazione sul totale dei contenuti online.

Ma i numeri ufficiali sulla sicurezza in Italia, forniti sempre dal Viminale, sono chiari: mentre da un lato si registra un calo generale di delitti – compresi omicidi, furti e rapine – dall’altro il numero di stranieri in Italia è cresciuto, dai 3 milioni del 2007 a circa 5 milioni e mezzo. Se l’emergenza criminalità è molto meno allarmante di quanto possa sembrare, quella straniera lo è ancora di meno. L’equazione stranieri uguale criminali non ha fondamento.

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