Migranti, la vera questione si chiama Libia.

Migranti, la vera questione si chiama Libia. E commuoversi non serve: gli unici colpevoli siamo noi

Basta Libia: è quel che sussurrava la donna tratta in salvo nel Mediterraneo, alla deriva per due giorni con un’altra donna e a un bambino morti. Non è solo una richiesta disperata: è (o dovrebbe diventare) la politica dell’Europa per affrontare la questione migratoria del Mediterraneo centrale

«Pas Libye, pas Libye», basta Libia, basta Libia. Così sussurrava Josefa, quarant’anni circa, dal Camerun, che è rimasta appesa per 48 ore circa a una tavola di legno, prima che fosse tratta in salvo dalla nave dell’organizzazione non governativa Open Arms. E forse occorre partire da qui, per capire cos’è successo a lei, e alla donna e al bambino trovati cadaveri accanto a lei, nel mezzo del Mediterraneo, a 80 miglia marine circa dalle coste libiche.

Basta Libia, diceva Josefa. Quella stessa Libia in cui sarebbero stati riportate le altre 158 persone che erano sui gommoni con lei, con la donna e il bambino. Ci sarebbero i resti di un gommone affondato lì nei paraggi e le comunicazioni radio tra i libici stessi e il mercantile Triades, a confermare la dinamica. Resta ancora da capire, semmai, come mai le due donne e il bambino non siano stati tratti in salvo, se è vero come dice Josefa che la guardia costiera libica li ha picchiati, se è vero come dice Oscar Kamps di Proactiva Open Arms che si tratta di un caso di omissione di soccorso, o se la verità è un’altra, come afferma il Viminale annunciando nuove ricostruzioni.

Basta Libia, e questo rimane. Perché è la Libia – Paese che Matteo Salvini, con spregio al ridicolo, definisce come un porto sicuro – il vero inferno, il luogo da cui un migrante su due vorrebbe scappare per far ritorno a casa propria, un campo di concentramento grande come un intero Paese, in cui stupri, rapimenti, schiavitù sono all’ordine del giorno, per finanziare la guerra civile e, si dice, gruppi terroristici salafiti. E quella libica, fossimo un Paese (e un Continente) con ancora qualche brandello di dignità è la vera questione che andrebbe risolta. Creando corridoi umanitari verso l’Europa e verso i Paesi d’origine, per chi volesse farvi ritorno. E facendo di tutto, a livello diplomatico e militare, per riportare un minimo di ordine costituito in un Paese in guerra civile da più di sette anni.

Basta Libia. E invece no. Dopo averla ridotta all’anarchia, alla Libia abbiamo affidato il presidio delle nostre frontiere. E peggio ancora, le abbiamo garantito mano libera, con una guerra senza quartiere alle navi delle organizzazioni non governative, ree non solo di salvare, ma anche di raccontare quel che accade nel Mediterraneo centrale, omissioni e crudeltà comprese. Non bastasse, mentre piangiamo miseria per i 35 euro che spendiamo per ogni richiedente asilo e blateriamo di “aiutarli a casa loro”, usiamo i soldi europei della cooperazione internazionale per pagare la guardia costiera e i centri di detenzioni libici, pratica in uso ben prima che Salvini giurasse al Quirinale. E foraggiamo la fame di armi dei capi tribù libici, innaffiandoli di denaro purché la smettano di far imbarcare la gente nel Mediterraneo.

Basta Libia, in fondo, è la chiave di tutto. È l’Europa che si assume le proprie responsabilità. Che rimedia ai suoi clamorosi errori. Che non chiude gli occhi di fronte all’orrore. Che rimette al centro della sua identità i valori – cristiani e laici – della solidarietà, dell’accoglienza, dell’universalità dei diritti umani. Che ritrova un senso e un posto nel mondo occupandosi di ciò che la circonda, in modo completamente diverso da ciò che fanno tutti gli altri, anziché alzare il ponte levatoio della propria Fortezza. Basta Libia, sussurra Josefa. E noi dovremmo urlarlo più forte che possiamo.

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