L’opera da tre soldi

L’opera da tre soldi

Il “governo del cambiamento” ha approvato la manovra per il Documento di economia e finanza portando il deficit al 2,4% per tre anni che equivalgono ad una quaratina di miliardi di euro di ulteriore spesa pubblica. Insomma si fanno ancora debiti nonostante quello che già abbiamo del 134% rispetto al prodotto interno lordo ovvero circa 2.400 miliardi di euro, nella speranza che tutto questo possa rilanciare la crescita e quindi l’aumento del Pil che magicamente farebbe abbassare anche il debito. Comunque la famosa manovra non è tutta coperta da maggiori spese ma anche da 13 miliardi di minori spese ( ancora spendig review più qualche condono) di cui almeno 5 tolti da scuola e welfare colpendo in questo modo proprio le fasce più deboli della popolazione.
Ma è “La manovra del Popolo” come è stato detto senza sprezzo del ridicolo agitando bandiere da un balcone come se l’Italia avesse vinto il campionati del mondo.

Il primo contraccolpo non è stato dei migliori perchè la borsa ( e in particolare i titoli bancari) ha perso 25 miliardi in un giorno e lo spread è salito a quasi 300 punti, il che significa che lo Stato dovrà pagare interessi più alti per far acquistare i titoli che servono per finanziare il debito pubblico.

La Francia che ha portato il deficit per quest’anno al 2,8% ha uno spred sotto 40 e un rapporto tra debito e Pil al 97%. Questo significa che i francesi pagano interessi sul debito all’1% l’Italia quasi al 4% ovvero se lo spread continua a salite e la Bce ( come annunciato già ad inzio anno) cessa di acquistare i titoli dei vari stati ( quantitative easing) vuol dire che il nostro paese pagherà qualche altra decina di miliardi in più di interessi alla faccia del “popolo”.

Di questa splendida manovra che significherà “la fine della povertà” 12,5 mld vanno per bloccare l’aumento dell’iva, 1,5 mld per un fondo per i truffati dalle banche ( si attingerà ai fondi dormienti?) e 10 miliardi per il “reddito di cittadinanza”, 6-8 mld per la quota 100 della Fornero che permetterà di andare in pensione, in gran parte al nord, a circa 400 mila lavoratori.
Non bisogna essere un economista o un matematico per capire che c’è qualcosa che non torna.

Dei 10 mld di Di Maio , due servono per rendere efficienti i Centri per l’impiego , dove ad oggi solo il 4% trova un lavoro, in particolare nel mezzogiorno. Quindi scendiamo ad 8 , con il valoroso vice premier Masaniello che parla di 6,5 milioni di persone che potranno accedere al reddito di cittadinanza a cui vanno aggiunti i pensionati che vedranno salire la minima fino a 780 euro ( circa 1,7 milioni di persone).
Se provate a dividere 8 miliardi per 6,5 milioni viene 1,230 euro l’anno ovvero 102 euro al mese. C’è qualcosa che non torna e infatti si parla di applicazione dell’Isee tra 7/8 mila euro l’anno ( che è più alta di quella richiesta per il reddito di inserimento), di riduzione consistente in presenza di una casa di proprietà con l’aggiunta di una norma razzista e incostituzionale sulla residenza in Italia di almeno 10 anni fatta per escludere i lavoratori immigrati dall’accesso alla misura di contenimento della povertà nonostante  siano la quota di lavoratori che ha pagato più pesantemente la crisi.

Nei 10 miliardi verrebbero anche compresi i 2,5 miliardi del Rei(reddito di inserimento) e fondi della Naspi che è l’indennità di disocuppazione (finanziata al 75% dagli stessi lavoratori).
C’ è ovviamente qualcosa che non torna e che forse verrà chiarito nel dibattito parlamentare. Si tratta di misure che dovrebbero entrare in vigore dal marzo 2019, come la flat tax per autonomi (che in parte esiste già), sperando in una riforma dei centri per l’impiego che pare perlomeno improbabile in pochi mesi.
La sensazione è quella di un provvedimento tendente volutamente a provocare uno scontro istituzionale con l’Europa ( che ci chiede solo di rispettare gli accordi sottoscritti) per riversare sugli “altri” l’impossibilità di ripettare le promesse fatte con rischi consistenti per la stabilità finanziaria dello Stato. La povertà purtroppo non c’entra nulla come ha scritto la sociologa Chiara Saraceno per vari motivi: “ Il primo è che una manovra tutta in deficit avrà l’effetto di un terremoto finanziario ( a partire dallo spread) che metterà a rischio i risparmi, colpendo soprattutto ceti modesti, come è già successo con la crisi, e , aumentando il debito, e quindi riducendo le risorse disponibili. La seconda è che il compromesso redistributivo raggiunto aumenterà le disuguaglianze : tra generazioni ( saranno i giovani a pagarne i costi). Tra lavoratori – cioè tra chi potrà andare in pensione a quota 100 e chi non potrà farlo- e tra contribuenti onesti e condonati. La terza ragione sta nell’idea stessa che si possa eliminare la povertà (solo degli italiani naturalmente) semplicemente trasferendo reddito.” C’è bisogno di lavoro remunerato adeguatamente altrimenti la misura diventa assistenziale a vita e l’Italia è tra i paesi con il più basso tasso di occupazione soprattutto feminile. Si scommette sulla crescita che invece dello 0,9% previsto dovrebbe arrivare all’1,6% per mantenere in equilibrio i conti e contenere il debito pubblico , che addirittura nel 2021 dovrebbe scenedere al 127% , ma “ se la scommessa sulla crescita verrà persa o solo parzialmente vinta – ha detto il ministro Tria al Sole 24 ore – i programmi conterranno una clausola che prevede la revisione della spesa in modo che l’obiettivo di deficit per i prossimi anni non sia superato rispetto al limite posto”. Intanto la flat tax è diventata a tre aliquote e se ne riparlerà nel 2022.

Continuano ad esserci troppe incognite in un cammino che si annuncia burrascoso e con molti rischi che non è detto che vengano dall’Europa che potrebbe aspettare l’approvazione definitiva della manovra prima di pronunciarsi ufficialmente. I debiti prima o poi qualcuno deve pagarli almeno che non si pensi a distopici piani B che metterebbero a rischio non solo il benessere ma la democrazia nel nostro paese.
“Saranno i mercati a decidere se il debito pubblico italiano, pur aumentando, resterà sostenibile. E se i mercati spingeranno l’Italia e gli italiani fuori dall’euro, la catastrofe non avrà le sembianze di un imprevedibile cigno nero , ma di un disegno preciso, perseguito con ostinazione da quei politici che , al balcone di Palazzo Chigi, festeggiavano trionfanti “la manovra del popolo”(A. Bonanni).

Oppure c’è la soluzione indicata la Lucrezia Reichlin sul Corriere della sera di un debito pubblico tutto in mano a banche e cittadini italiani . “Noi italiani saremmo così letteralmente tutti in una stessa barca, con un rischio bancario eguale al rischio sovrano : fallisce lo Stato , falliscono le banche e viceversa . I cittadini rinuncerebbero in modo patriottico ad usare i loro risparmi in modo più remunerativo mentre le banche sosterrebbero lo Stato invece che le imprese.(…) E ‘ chiaro che questa prospettiva sovranista non potrebbe durare perché affosserebbe ancora di più la crescita e soprattutto essa è fondamentalmente incompatibile con la logica di un mercato integrato e con la moneta unica. Il passo seguente sarebbe quindi uscire dall’euro riconquistando libertà di cambio e di emissione di moneta propria.” Con conseguenze disastrose per l’economia e soprattutto per la classe media , i lavoratori e i pensionati. Pensar male non va bene ma a volte ci s’indovina basti pensare al noto economista leghista,allora consigliere regionale, che nella sua dichiarazione pubblica sui redditi e proprietà indicava 400 mila euro di buoni o obbligazioni ….. tedeschi, rigorosamente in euro. Mica fesso i sovranista!

Leonardo romagnoli

30.9.18

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