Le favole nucleari

Le favole nucleari

L’esperienza francese e il nucleare in Italia



Pochi e significativi dati ridimensionano il mito del nucleare che tutto risolve. Bernard Laponche a Roma in occasione del Congresso dell’Industria Solare ha ricordato con qualche cifra perché il nucleare è una soluzione pericolosa, costosa e anche da ostacolo allo sviluppo di alternative sostenibili. Anche di fronte a temi complessi come il nucleare, basterebbero pochi e semplici dati per far capire che questa scelta non ha i poteri taumaturgici che gli si vogliono attribuire, almeno secondo i suoi sostenitori.
Una notevole capacità di sintesi a forte impatto comunicativo su questi temi è da riconoscere a Bernard Laponche, fisico ed economista dell’energia che per molti anni è stato consulente energetico del governo francese. Uno che di nucleare ne ha masticato molto e che affronta da sempre la questione con notevole pragmatismo. Laponche, da tempo lucido e autorevole oppositore del nucleare, a Roma, in occasione del Congresso dell’Industria Solare (11-12 febbraio), in una sessione dedicata proprio al ritorno dell’atomo nel nostro paese, ha potuto snocciolare numeri molto significativi, che anche noi spesso indichiamo su questo portale web, ma che sistematicamente sono nascosti da fonti governative e dalle industrie energetiche coinvolte in questo business.
Prima aspetto è il giusto peso del nucleare nel panorama energetico mondiale: nel 2008 era pari al 17% dei consumi elettrici finali, ma la produzione elettrica dell’atomo ha solo una quota del 13% sul totale, inferiore a quelle da fonti rinnovabili (19%). Ma ancora più significativo è che il contributo del nucleare sui consumi finali di energia è pari solo al 2%.
Laponche ha voluto così ridimensionare l’importanza della fonte nucleare: visto che un reattore nucleare è essenzialmente una centrale termica, essa produce soprattutto calore e solo una parte di questo è trasformata in elettricità. Ma le statistiche sul nucleare sono gonfiate perché invece di contabilizzare l’elettricità si calcola il calore prodotto che è 3 volte maggiore. E’ quindi l’analista francese approffitta per dare il giusto ruolo anche al nucleare francese: rappresenta circa il 67% sul consumo di elettricità, ma l’elettricità rappresenta solo il 21% del consumo finale di energia. In sintesi il nucleare contribuisce per il 14% dei consumi finali di energia, il resto è fatto di petrolio, gas, carbone e fonti rinnovabili.
A rafforzare questo dato è il tasso di dipendenza dal petrolio dei vari paesi. La presunta indipendenza dall’oro nero della più grande potenza nucleare civile, cioè

la Francia , si rivela falsa quando si scopre che i transalpini hanno una quota di petrolio che è del 49% sui consumi finali di energia, mentre l’Italia, che non ha reattori, ne dipende per il 46%. In Francia in media ogni cittadino consuma in un anno 1,47 tep di petrolio contro 1,36 tep di un italiano. La mancanza di un legame tra presenza dell’atomo e indipendenza dal petrolio è testimoniata anche dalle percentuali per

la Germania (43%) e il Regno Unito (48%).
Sempre in termini di sicurezza energetica, ha spiegato Laponche, un contributo del nucleare sul totale della produzione di energia elettrica del 25%, come è stabilito nel progetto del governo italiano, significherebbe un 18% di copertura dei consumi finali elettrici e solo un 4,5% di contributo sui consumi finali totali.
Laponche non scorda inoltre di dire che, a proposito di sicurezza e indipendenza energetica, il combustibile per le centrali, cioè l’uranio, è un minerale limitato in natura e importato quasi al 100% da tutti i paesi che hanno reattori sul proprio territorio.
Anche per quanto concerne il ruolo del nucleare nella riduzione delle emissioni di gas serra si scopre che in Francia le emissioni di CO2e procapite sono pari a 9,1 tonnellate, appena il 9% in meno di un italiano (9,9 tCO2e). Per l’analista francese, il programma italiano sul nucleare, se portato a termine (sicuramente non prima di 12-15 anni), potrebbe dare un taglio alle emissioni non superiore al 5%.
Sui costi, Laponche è stato netto: non esiste un prezzo di mercato del nucleare. Si è visto con il caso Olkiluoto in Finlandia: per il reatore da 1.600 MWe si è partiti con un costo stimato di 3,5 miliardi di euro, poi, a metà del 2008, quando i costi per i ritardi hanno iniziato ad accumularsi, si è arrivati a 5 miliardi di euro. Ma si finirà sugli 8 miliardi di euro, prevede Laponche. Secondo la tedesca E.ON, ad esempio, il costo di un simile reattore potrebbe aggirarsi tra i 5 e i 6 miliardi di euro. Ma in queste calcoli non sono mai inclusi i costi di smantellamento delle centrali, il trattamento e lo stoccaggio delle scorie radioattive. Incertezze notevoli ci sono anche sui costi futuri dell’uranio.
Bernard Laponche ha concluso che il nucleare è una scelta pericolosa, costosa e che impedisce lo sviluppo di alternative che oggi devono essere prioritarie, come i programmi per l’efficienza energetica, il trasporto alternativo (treno, trasporti collettivi, bicicletta, ecc.) e le fonti rinnovabili, strategie che avrebbero pure un notevole impatto economico e occupazionale a livello locale e regionale. Sul nucleare in Italia il fisico francese taglia corto: non si può fare, anche perché non esistono siti adatti.

LB

 

 

da Qualenergia

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