La crisi e la Toscana nell’analisi dell’ Irpet

temporaleIncertezza e paura del futuro fanno sì che consumatori e imprenditori non investano, anche quando i soldi magari ci sono. Di sicuro non lo fanno come facevano prima del 2008. Keynes le chiamava “trappole della liquidità”. Accade in Italia ed accade in Toscana, anche se quest’ultima abbia retto meglio il colpo. Ma forse, spiega l’Irpet, se si consuma e si investe di meno non dipende solo dalla crisi che c’è stata, la più pesante del Novecento. Secondo il direttore dell’istituto di programmazione della Toscana, Stefano Casini Benvenuti, la contrazione di consumi e investimenti è figlia di più concause ed alcune arrivano da molto lontano. C’entra la stagnazione che fin dai primi anni duemila ha visto divaricarsi la curva della produttività tra Ue e Germania da un lato, in ascesa, e l’Italia dall’altro. Ha a che fare magari con la demografia, perché una popolazione che invecchia tende a consumare di meno; anche la tecnologia potrebbe avere la sua parte. E poi c’è la concentrazione di maggiori risorse nelle mani di pochi (e i ‘ricchi’, si sa, accumulano di più ma consumano di meno).

Benvenuti lo ha spiegato  nel corso di un’iniziativa dell’Unicoop Firenze, al teatro della Pergola del capoluogo toscano, sottolineando come alla crisi peggio dell’Italia hanno reagito solo Grecia e Croazia in termini di caduta del Pil: numeri pesanti, che ih Italia raccontano un calo degli investimenti di oltre il 30 per cento, pari  a 570 miliardi se si congelasse il dato 2008 ma addirittura 1000 miliardi se alla curva si applicasse il precedente trend storico. Minori investimenti, naturalmente, vogliono poi dire anche meno lavoro: da 1 milione e 600 mila a 3 milioni di posti di lavoro mancati, si calcola, con i giovani a patire il maggior peso della crescente disoccupazione.

La ripresa si intravede. L’Irpet utilizza i dati Ocse, l’organizzazione europea per la cooperazione e lo sviluppo: +0,8 di Pil nel 2016 e +0,9 nel 2017, stesse cifre per l’occupazione. Ma di fatto la ricerca della produttività pari scaricarsi tutta sul lavoro, spiegano gli esperti,con stipendi bloccati e più basi, più lavoro nero e orario ridotto frutto solo in piccola parte di scelte volontarie. NON-FUTURO-IL-CONTO

La Toscana dal par suo regge meglio. Intendiamoci, dice l’Irpet, i dati negativi non mancano: 50 mila disoccupati in più rispetto al 2008, 89 mila unità di lavoro in meno, consumi in calo. Ma nella sintesi di tutte le variabili la Toscana può vantare la terza migliore performance d’Italia, dopo il Trentino Alto Adige e il Lazio. La Toscana ha retto soprattutto grazie all’export, cresciuto del 31 per cento dal 2008 ad oggi (e sia pur con un rallentamento registrato nel corso dell’ultimo anno) e cresciuto più della Germania, che certo quanto a competitività sta dietro a pochi. Ma anche in Toscana i problemi non mancano: l’industria segna un -15%, il settore delle costruzioni ha perso addirittura più del 31 per cento ed il manifatturiero solo per metà è legato all’export. A voler guardare però il mezzo bicchiere pieno emerge  un nucleo di imprese dinamiche, quelle che hanno imboccato la ‘strada traversa’ necessaria per gli economisti per uscire da una crisi strutturale. Sono 3555 imprese su poco meno di 42 mila di tutto il comparto manifatturiero, l’8,5 per cento che conta però il 40 per cento degli addetti, il 67,4 per cento del fatturato e il 78,9 % delle esportazioni. E su quelle imprese, capaci di investire e trascinarne con sé altre, occorre investire. E’ la scelta fatta anche dalla Regione, ad esempio, con i fondi europei.

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