Il Piano di indirizzo territoriale tra tutela e sviluppo

Il Piano di Indirizzo territoriale della Toscana

12133791-paesaggio-toscano-con-vigneti-ulivi-e-cipressi

Sono passati quasi due mesi dall’approvazione del nuovo Piano di Indirizzo Territoriale con valenza di Piano Paesaggistico della Regione Toscana e avvicinandosi la fine delle osservazioni scoppiano inevitabili le polemiche innescate, in questo caso, da alcune associazioni agricole che ritengono il piano troppo vincolante e limitativo del possibile sviluppo di un settore fondamentale della nostra economia come la viticoltura. L’assessore Marson ,che ha svolto un lavoro davvero eccellente e senza precedenti, e il presidente Rossi hanno invece sottolineato come il Pit non contenga divieti ma segnali delle criticità e soprattutto contiene una grande novità proprio per l’agricoltura in quanto toglie il vincolo che si era venuto a creare  con la legge Galasso su vaste aree collinari che dalla fine degli anni sessanta erano state occupate da zone boscate di scarso pregio dovute soprattuto all’abbandono delle campagne. Stiamo parlando di 200.000 ettari che equivalgono alla SAu persa in Toscana dal 1990 al 2010 che nell’ultimo censimento era di 754.344 ettari. La superficie coltivata a vite non arriva a 60.000 ettari  mentre  nel 1982 era di oltre 90.000 e il nuovo piano non vieta  nessuna espansione della superficie dedicata alla  produzione del vino, anzi una volta approvato il Pit  permette di andare a recuperare quei terreni persi negli anni passati cercando , dove possibile di rispettare dei criteri paesaggistici che sono in gran parte di buon senso. Non solo, la Regione Toscana ha destinato al settore vitivinicolo per nuovi impianti e sostituzione vecchi vigneti ben 155 milioni di euro nell’ultima programmazione a beneficio di 10.000 aziende e anche nel 2014 è previsto uno stanziamento di 17 milioni. . “E’ stato possibile aumentare il contributo del sostegno massimo per ettaro – ha spiegato l’assessore  Salvadori al momento dell’approvazione della delibera a gennaio – che può arrivare fino a 16 mila euro ad ettaro in presenza di reimpianto preceduto da estirpazione effettuata in attuazione di questa misura”.
Uno strano modo per limitare le possibilità di sviluppo di un settore. Senza contare che fino a pochi anni fa gli indirizzi europei andavano nella direzione di diminuire le superfici produttive e aumentare l’ammodernamento di vecchi impianti: “altro effetto auspicabile è che in Toscana la coltura della vite non continui a ricoprire un ruolo importante solamente dal punto di vista economico-produttivistico, ma che, accanto all’esaltazione di questo aspetto, riacquisti anche il significato di risorsa capace di rispettare e valorizzare il territorio a livello paesaggistico-ambientale”(la ristrutturazione vitivinicola in Toscana).
Ma cosa dice di così “sconvolgente “ il Pit per esempio sul Chianti?
“Il paesaggio del Chianti rappresenta il più noto esempio, in epoca moderna, di integrazione tra attività dell’uomo e ambienti collinari rocciosi o comunque a versanti acclivi. L’equilibrio sostenibile rappresentato dal sistema agrario storico è un insegnamento i cui significati profondi, rispetto all’interazione tra popolazione, agricoltura e geomorfologia, hanno valore universale. Come tale, il paesaggio storico del Chianti è un valore fondamentale in se. Componente inscindibile di questo valore, le produzioni di pregio, anch’esse risultato dell’ingegno umano applicato alla natura del territorio.” Detto questo la scheda passa a segnalare quelle che possono essere le criticità dell’area “le tendenze in merito all’uso del suolo, per quanto mitigate e controllate, comportano un aumento delle criticità relative alla conservazione del suolo e al controllo dei deflussi superficiali. Si può affermare infatti che l’erosione e la produzione di deflussi sono entrambe aumentate, anche a causa della vulnerabilità intrinseca dei suoli.” Un ulteriore criticità è legata al rischio di eventi franosi, che è sensibile e aggravato dalla mancanza di manutenzione delle sistemazioni idraulico-agrarie, problema ancora presente. Il tentativo di coniugare meccanizzazione e terrazzamenti, per quanto riuscito a breve termine, presenta rischi a medio termine. Si tratta di rischi legati allo spostamento di suolo a valle, prodotto delle lavorazioni meccaniche sia in vigneti estesi lungo la massima pendenza sia in vigneti lavorati in traverso, e può portare alla destabilizzazione dei terrazzi, con fenomeni franosi locali ma dannosi.”  Il piano sottolinea la delicatezza del tessuto idrogeologico dell’area e anche per quanto riguarda la viticoltura indica alcune proposte :
• promuovere tecniche di impianto e gestione delle colture indirizzate al contenimento dell’erosione del suolo, in tutte le sue forme, e alla prevenzione degli eccessi di deflusso superficiale, indirizzando l’evoluzione della maglia agraria verso unità meno estese, nel senso del versante, e realizzando adeguati sistemi di gestione dei deflussi;
• incoraggiare, nelle piantagioni arboree, l’estensione dei metodi di copertura verde del suolo, allo scopo di ridurre i deflussi;
• adottare misure atte a limitare l’impermeabilizzazione, in particolare nei sistemi di Fondovalle e di Collina su depositi neo-quaternari a livelli resistenti, sì da non ostacolare la ricarica dei corpi acquiferi;
Il Piano sottolinea anche la criticità ambientale e paesaggistica di alcuni siti estrattive e consiglia di “ promuovere il ripristino dei siti estrattivi inattivi e la gestione sostenibile degli impianti in attività, in particolare adottando con misure per ridurre l’impatto visivo e prevenire possibili dissesti di natura franosa”.
Ma la parte che ha fatto discutere è  inserita negli indirizzi per le politiche dove si afferma  che “per la zona collinare risulta fortemente auspicabile una limitazione alle ulteriori trasformazioni di seminativi, incolti o prati pascolo in vigneti specializzati. Questi ultimi, quando presenti in modo esteso e con monocolture dominanti, costituiscono ambienti agricoli di scarso valore naturalistico che hanno già estesamente interessato l’ambito, compromettendo in parte la sua originaria struttura agricola tradizionale.” Questo vieta l’espansione della viticoltura ? Basta andare avanti nella lettura per comprendere che non è così (oltre ad essere di fatto un auspicio):” I sistemi colturali d’impronta tradizionale andrebbero mantenuti, in particolar modo nei contesti in cui si contraddistinguono per la loro multifunzionalità in termini di valore estetico-percettivo, storico-testimoniale, ecologico (come porzioni del territorio caratterizzate da un elevato grado di connettività), di presidio idrogeologico e conservazione dei suoli (in relazione alla presenza e all’efficienza di terrazzamenti, muri a secco e altre sistemazioni di versante). Le trasformazioni delle colture tradizionali in impianti viticoli specializzati andrebbero limitate nella parte del territorio chiantigiano che ha già visto la gran parte dei suoi coltivi riconvertirsi in questa direzione (si veda soprattutto il Chianti Senese e la porzione settentrionale del Chianti fiorentino) e, altrove, orientate verso il mantenimento (o, la ricostituzione, nel caso dei reimpianti) di una maglia agraria di dimensione media, paesisticamente ed ecologicamente complessa, infrastrutturata da siepi, filari e altri elementi di corredo vegetale della trama dei coltivi. Infine, nelle aree di fondovalle, l’indirizzo fondamentale è quello di limitare ulteriori processi di artificializzazione dovuti a espansioni urbane o alla realizzazione di infrastrutture”(p.43)
Dato che il paesaggio è una componente fondamentale del marketing per i prodotti del Chianti e per la sua promozione turistica non si capisce dove sia lo scandalo di certe prescrizioni che pongono soltanto un’attenzione particolare alla tutela del territorio da eventuali fenomeni franosi e della biodiversità agraria.(1) Questi concetti vengono sintetizzati a pagina 56 in questi punti che riprendono quanto ho cercato di riportare fino ad adesso come indicazione agli enti territoriale per “tutelate la complessità della maglia agraria del sistema” :
“promuovendo, ove presente, la diversificazione colturale data dall’alternanza tra oliveti, vigneti, seminativi e macchie di bosco, e conservando l’infrastruttura rurale storica (viabilità poderale e interpoderale, corredo vegetazionale, sistemazioni idraulico-agrarie) in termini di integrità e continuità ;

• promuovendo la conservazione delle colture d’impronta tradizionale come oliveti e vigneti terrazzati e garantendo la funzionalità del sistema di regimazione idraulico-agraria e di contenimento dei versanti, mediante la conservazione e manutenzione delle opere esistenti o la realizzazione di nuove sistemazioni di pari efficienza idraulica, coerenti con il contesto paesaggistico;

• favorendo nei nuovi impianti e per i reimpianti di viticoltura specializzata (con particolare riferimento alle aree individuate nella carta dei morfotipi rurali: morfotipi 11, 15, e morfotipo 18 soprattutto per la parte compresa nel Chianti Senese), la creazione di una maglia agraria e paesaggistica di scala media articolata e diversificata, attraverso il mantenimento e la riqualificazione di una rete di infrastrutturazione rurale continua (data dal sistema della viabilità di servizio e dal corredo vegetazionale), la realizzazione di confini degli appezzamenti che assecondano le curve di livello e il contenimento di fenomeni erosivi mediante l’interruzione delle pendenze più lunghe.”(p.56)slide_297482_2449799_free

Alla luce di quanto avvenuto in altre regioni italiane si tratta di indicazioni di buon senso che conciliano i legittimi interessi delle aziende con una visione del paesaggio e del territorio come bene comune primario dove prevenire fenomeni di dissesto e di inutile cementificazione. Viene quasi l’impressione che qualcuno miri proprio a scardinare questi aspetti del Pit della Toscana usando le preoccupazioni di alcuni viticoltori come “cavallo di Troia” per ottenere più sostanziose modificazioni.

 

Leonardo Romagnoli

31.8.2014

1)La percezione della qualità di un vino da parte dei consumatori non dipende soltanto
da valutazioni sensoriali, gustative, ma risiede anche nella convinzione che quel prodotto rappresenta una filosofia, un approccio alla coltivazione ed al rispetto e salvaguardia di un ambiente che è considerato dal consumatore unico e ricco di contenuti storici e culturali.
Il successo delle produzioni vitivinicole toscane di certi territori, e la consapevolezza del ruolo che il territorio ha in questo successo, trova nelle imprese di queste aree una sponda essenziale per la promozione di  politiche attive a livello di territorio, che si pongano l’obiettivo di mantenere i caratteri essenziali del paesaggio tradizionale.
Il rapporto tra qualità di un prodotto e territorio si esprime concretamente nel comparto vitivinicolo, che trova nelle Doc e Docg una chiara espressione del legame tra territorio in senso lato, cultura tradizione e innovazione; in questo senso le qualità organolettiche del prodotto sono direttamente legate alle caratteristiche ambientali e alle tecniche di coltivazione, condizionate dal territorio stesso. Il paesaggio è in questo contesto percepito come una risorsa, come una componente fondamentale della qualità di un prodotto, i cui costi, almeno in parte, potranno essere recuperati nel prezzo. Vi è dunque un approccio più di sistema alla tutela del paesaggio tradizionale che vede anche nel marketing
territoriale un aspetto di questa strategia.
(V.Bucciantini in Agricoltura paesaggistica p.264-265)

I commenti sono chiusi.