Il dovere dell’accoglienza

Il dovere dell’accoglienza

8 maggio 2019

Giovanni Baglio e Mario Affronti

Appare oggi quanto mai attuale, e per certi versi rivoluzionario, riaffermare che sono i diritti delle persone, quand’anche immigrate e straniere, a venire prima dei diritti dello Stato. Il decreto sicurezza e immigrazione desta gravi preoccupazioni, per i rischi derivanti dall’indebolimento dei percorsi di accoglienza/integrazione e da un più generale allentamento dei dispositivi di tutela sociale e sanitaria.

Mentre la cronaca incalza con notizie apocalittiche sui migranti, e si preannunciano cambiamenti epocali sull’onda emotiva di una guerra, perduta in partenza, dei “penultimi” contro gli “ultimi”[1], ci rendiamo conto di come non vi sia nulla oggi in Italia che abbia il sapore della rivoluzione, più della nostra Carta costituzionale: una rivoluzione giocata sul terreno dei diritti e del loro riconoscimento agli individui e alle comunità. Conosciamo bene l’articolo 32 della Costituzione, in cui si afferma che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Questo articolo rappresenta una lodevole eccezione nel panorama europeo. Come ha osservato Vladimiro Zagrebelsky, il fondamento del diritto alla salute, nelle Costituzioni degli Stati europei che non lo menzionano espressamente, è legato al rispetto della dignità umana; nella nostra Costituzione, invece, tale diritto viene riconosciuto, ed è l’unico tra i diritti umani a essere qualificato come “fondamentale”[2].

Ciò che non tutti conoscono, però, è il contenuto del dibattito che animò i padri costituenti, in seno alla Commissione incaricata di redigere il testo della Carta costituzionale. Illuminante in tal senso è la relazione che Giorgio La Pira, deputato neo-eletto all’Assemblea costituente, tenne nel 1946 sui principi relativi ai diritti civili[3]. La relazione si sviluppò a partire da una serie di domande basilari: era necessario inserire nella Costituzione una premessa sui diritti dell’uomo? E se sì, quali diritti avrebbe dovuto contenere: solo quelli naturali di libertà e uguaglianza – sulla scia dell’esperienza americana e francese – o anche quelli sociali, quali il diritto al lavoro e al riposo, e il diritto all’assistenza (tra cui anche quella sanitaria)? Alla fine prevalse la decisione di porre come incipit della nascente Costituzione un’ampia dichiarazione dei diritti della persona, e la ragione di questa scelta va inquadrata storicamente in termini di reazione all’esperienza fascista. Il fascismo, in quanto regime totalitario, non si era limitato a violare i diritti delle persone ma, nel solco della dottrina hegeliana, aveva negato in radice l’esistenza di diritti umani antecedenti allo Stato. Nei regimi totalitari, infatti, i diritti sono concessi dallo Stato e, in quanto concessioni, possono essere in qualsiasi momento parzialmente o totalmente revocati, in nome di una qualche “ragion di Stato”. E dunque la dichiarazione dei diritti come premessa alla Costituzione assolveva a una funzione metagiuridica: indicare il fine di ogni istituzione politica, e mostrare che non è l’individuo per lo Stato (come avviene nei sistemi totalitari), ma lo Stato per l’individuo (come è invece prerogativa dei sistemi liberali).

Appare oggi quanto mai attuale, e per certi versi rivoluzionario, riaffermare che sono appunto i diritti delle persone, quand’anche immigrate e straniere, a venire prima dei diritti dello Stato. La vicenda della nave Diciotti, ad esempio, ha sollevato interrogativi in merito al “conflitto di interessi” tra le Autorità governative, che hanno disposto la forzosa permanenza dei migranti a bordo, e il diritto dei migranti stessi di veder riconosciuta la propria libertà personale. Rispetto a tale “conflitto”, è stato da più parti sottolineato che nemmeno l’esecutivo è legibus solutus, cioè al di sopra della legge, e che pertanto deve rispettare i limiti stabiliti dallo stato di diritto.

Ma c’è un secondo aspetto che emerge nel discorso di La Pira e riguarda la “dimensione comunitaria”, in opposizione alla concezione atomistica emersa dalla rivoluzione francese e sfociata nella Dichiarazione del 1789. Sono le comunità, e non solo i singoli, a dover essere riconosciute e tutelate, perché è all’interno di esse che gli individui vivono e, integrandosi, si realizzano come persone. Questa visione anti-atomistica e pluralista che ispira la Costituzione, centrata sull’importanza del contesto e delle relazioni, si dimostra di straordinaria modernità, ed è in linea con i principi che informano la prospettiva emergente della sanità pubblica “ecologica”, ben descritta da Lang e Rayner in un articolo apparso su British Medical Journal[4] e recensito anche su questo Blog[5]. A farsi strada è l’idea di una sanità pubblica capace di esprimere un punto di vista globale e sistemico sulla salute, considerata in tutte le dimensioni dell’esistenza (materiale, biologica, culturale e sociale), e volta a promuovere politiche e azioni efficaci in ognuna di queste dimensioni, mediante approcci di tipo intersettoriale e multilevel che coinvolgano i governi, le istituzioni, le comunità e i singoli individui[6]. La prospettiva offerta dalla sanità pubblica ecologica richiama alla mente la definizione stessa di Salute Globale, quando enfatizza il ruolo dei determinanti ambientali e socioeconomici sulle dinamiche di salute e richiama l’attenzione sui temi dell’equità[7].

Lo scenario fin qui delineato ci porta a fare due considerazioni. La prima è che per garantire la salute dei migranti non possiamo non favorire i processi di integrazione. Ma in questo senso, i segnali che giungono non sono confortanti.  Mentre brucia ancora come sconfitta di civiltà la mancata approvazione, nella passata legislatura, del disegno di legge sullo ius soli temperato/ius culturaeadesso è il decreto sicurezza e immigrazione (convertito in Legge n. 132 del 1 dicembre 2018) a destare gravi preoccupazioni, per i potenziali rischi derivanti dall’indebolimento dei percorsi di accoglienza/integrazione e da un più generale allentamento dei dispositivi di tutela sociale e sanitaria. In una lettera indirizzata al Parlamento italiano nell’ottobre 2018 (due mesi prima della conversione del ddl in legge), diverse organizzazione medico-umanitarie che da molti anni si occupano di assistenza sociale e sanitaria a immigrati, profughi e richiedenti protezione internazionale, unitamente alla Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, hanno espresso significative perplessità in merito all’impianto complessivo della norma[8].  In particolare, l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari apre a nuove tipologie di permesso della durata di 6-12 mesi, che limitano la possibilità di accedere alle prestazioni di assistenza sociale (destinate ai titolari di permessi di soggiorno di almeno 1 anno) e agli alloggi di edilizia residenziale pubblica (garantiti a chi ha permessi di almeno 2 anni), e che non prevedono la convertibilità in permessi di soggiorno per lavoro. Inoltre, il sistema di accoglienza “diffuso” per richiedenti asilo e rifugiati in Italia – lo SPRAR, gestito dalla rete degli Enti locali – continuerà ad esistere, ma d’ora in avanti si chiamerà SIPROIMI e sarà riservato solamente ai titolari di protezione internazionale, ai minori stranieri non accompagnati e a pochi altri immigrati con permessi speciali. Ciò significa che i richiedenti asilo si vedranno precluso l’accesso alle pratiche di formazione e inserimento socio-lavorativo che hanno fin qui caratterizzato tale modalità di accoglienza. E, in quanto non ancora “riconosciuti”, rimarranno nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), dove peraltro i nuovi bandi del Viminale per gli enti gestori prevedono tagli consistenti al personale (anche sanitario) e ai servizi (ivi compresi la mediazione culturale, l’insegnamento della lingua italiana, la formazione professionale e il supporto alla richiesta di asilo)[9].

La seconda considerazione è che la sanità pubblica non può non occuparsi della salute (e dunque dell’integrazione) degli immigrati, se vuole occuparsi della salute degli italiani. La prospettiva “sistemica” impone alla sanità pubblica di farsi carico delle condizioni di salute dell’intera collettività proprio a partire dalle persone e dai gruppi che, in ragione delle condizioni di fragilità e marginalità sociale, sono a maggior rischio di esiti negativi per sé e per il resto della popolazione[6]. Non a caso, la rivista The Lancet, in un editoriale pubblicato a margine del 1st Congresso Mondiale su Migration, Ethnicity, Race and Health svoltosi a Edimburgo nel 2018, titolava: “No public health without migrant health”[10]. E dunque, o la sanità pubblica (e con essa l’intero Sistema-Paese) riesce a farsi carico dei migranti, o semplicemente non è! Ancora una volta è l’articolo 32 della Costituzione a fare da guida e da monito, quando ci ricorda che la tutela della salute è diritto fondamentale degli individui, ma anche interesse della collettività.

Giovanni Baglio e Mario Affronti. Società Italiana di Medicina delle Migrazioni

Bibliografia

  1. Manconi L, Resta F. Non sono razzista ma. La xenofobia degli italiani e gli imprenditori politici della paura. Milano: Feltrinelli 2017: p. 52.
  2. Zagrebelsky V. Diritto fondamentale alla salute: principi e realtà. In: Atti del XIV Congresso Nazionale SIMM – Torino, 11-14 maggio 2016. Bologna: Pendragon, 2016: pp. 41-44.
  3. Relazione di Giorgio La Pira alla Commissione per la Costituzione sui principii relativi ai rapporti civili [PDF: 1.2 Mb]. Anno 1946.
  4. Lang T, Rayner G. Ecological public health: the 21st century’s big idea? BMJ 2012; 345: e5466.
  5. Materia E, Baglio G. Sanità pubblica ecologica. Blog Salute Internazionale.info 2013.
  6. Baglio G, Eugeni E. Medicina di prossimità: un modello di sanità pubblica per i gruppi hard-to-reach. In: Maciocco G (a cura di). Cure primarie e servizi territoriali. Roma: Carocci editore 2019: pp. 77-84.
  7. Koplan JP, Bond TC, Merson MH, et al. Towards a common definition of global health. Lancet 2009; 373: 1993-5.
  8. Lettera ai Presidenti dei Gruppi Parlamentari di Camera dei Deputati e Senato della Repubblica [PDF: 558 Kb]. Oggetto: Decreto “Immigrazione e Sicurezza” e sue implicazioni per la salute. Firmatari: Centro Astalli, Emergency, INTERSOS, Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, Medici contro la Tortura, Médecins du Monde, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere. 25 ottobre 2018.
  9. Migranti. Ecco come il Viminale ha penalizzato i centri migliori per l’integrazione. Avvenire.it, 26.04.2019
  10. No public health without migrant health. Lancet Public Health 2018; 3(6): e259.

I commenti sono chiusi.