GENOVA PER NOI….

GENOVA PER NOI….

 

 

nulla ha più futuro del denaro, al punto che il denaro si ritiene sinonimo del futuro e in diritto di determinarlo”(J. Brodskij)

se la bellezza che la terra deve alle cose venisse distrutta dall’aumento illimitato della ricchezza e della popolazione(…) allora lo spero sinceramente, per amore della posterità, che questa sarà contenta di rimanere stazionaria, molto prima di esservi costretta dalla necessità”(J.Stuart Mills)

 

La tragedia di Genova avrebbe meritato un silenzio composto per rispetto alle vittime del crollo, un’analisi attenta delle cause per capire come intervenire sulle tante opere del genere presenti nel nostro paese e poi una riflessione sulle opere infrastrutturali necessarie al futuro del paese.
Invece la cronaca di questi giorni ci racconta di assurde polemiche politiche, di colpevoli già condannati e di uno sconcertante dibattito, quasi ottocentesco, fra progresso e decrescita.

L’anacronismo del confronto sta proprio nell’oggetto oggi al centro dell’attenzione, il viadotto Morandi, un chiaro frutto della sua epoca e di un certo progressismo fatto di grandi opere poco attente al territorio e al bene pubblico. Una camionale costruita sopra case e zone industriali con una tecnologia che già negli anni successivi è stata oggetto di critiche da parte di ingegneri e studiosi.
Tanto spettacolare quanto pericolosa ( ci sono passato sopra una volta con un furgone e tra rampe d’ingresso e vibrazioni non è stato molto piacevole) come altre opere costruite in quegl’anni con lo stesso criterio e oggi, in alcuni casi, abbandonate.
Che il viadotto presentasse delle criticità lo dimostrano i continui lavori di manutenzione, iniziati già pochi anni dopo l’inaugurazione, che sono costati più della costruzione dell’opera, pensata per un traffico di 6 milioni di mezzi e che oggi ne vede passare 30 milioni con una preponderanza di mezzi pesanti ,che non sono certo quelli degli anni 60, che hanno accelerato il degrado della struttura.
Come hanno riportato alcuni giornali , questa consapevolezza aveva condotto esperti ed amministratori ad avanzare alcune ipotesi : la costruzione di un nuovo viadotto in acciaio vicino a quello attuale che sarebbe stato smantellato o riservato al traffico leggero; la realizzazione di un nuovo percorso autostradale nella zona collinare a nord con alcune gallerie, detto “la gronda”.

La preferenza dei promotori è andata alla “gronda” che fin da subito ha incontrato molte resistenze nella popolazione locale e nelle attività agricole ancora presenti nella zona collinare. Tra i contrari anche esponenti del Movimento 5 Stelle e lo stesso Grillo che affermavano che il ponte Morandi era sicuro e andava solo rinforzato. Genova è una città insediata in un territorio fragile dove spesso si è costruito dove non si doveva, come dimostrano le disastrose alluvioni degli anni passati, e quindi necessita di una visione generale per non aggravare i problemi esistenti e cercare di dare una soluzione ad un sistema viario non adeguato.

Cosa c’entra tutto questo con il progresso? Niente. Se non a montare, specularmente a chi sfrutta l’emozione della tragedia per la propria propaganda politica, un campagna mediatica in favore delle grandi opere viste come simbolo della modernità indipendentemente dalla loro utilità e dal loro impatto.
Un bell’esempio di questo modo di ragionare lo troviamo sul Corriere della sera che con Antonio Polito scrive: “ è che abbiamo smesso di credere nel progresso. Tutto ci sembra più importante: l’ambiente, l’austerità, i comitati dei cittadini, la Corte dei conti, la lotta agli sperperi e alla corruzione. C’è sempre una buona ragione per non fare nulla.(…) La straziante tragedia di Genova è figlia di una paralisi del progresso.(…) Esiste del resto ormai da decenni un progetto di bretella che può eliminare l’anomalia di un’autostrada che passa sulla testa di una città: la Gronda di Ponente. Eppure, insieme ad altri nomi esotici come la Tav o il Terzo Valico, è finita nell’elenco delle battaglie epiche e infinite di cui sentiamo la sera in tv, con i buoni e i puri che vogliono bloccarle e i cattivi e i corrotti che vogliono farle. Siccome i buoni nelle storie vincono sempre, alla fine le opere si fermano. Ma la vita no.” Ovviamente non mancano i riferimenti perfino al referendum sul nucleare o alla fine dell’industria chimica italiana come se questo fosse dovuto a scelte ambientali invece che a precise scelte industriali. Sessanta anni di storia industriale e di disastri ambientali, dove i buoni hanno vinto raramente ,ridotti ad un compitino piuttosto ignorante solo per sostenere le solite grandi opere che , come scrive lo stesso Corriere in un altro articolo, hanno tolto risorse alla manutenzione di tutte le infrastrutture viarie o ferroviarie in quanto “ per anni i fondi destinati alla cura del nostro sistema stradale sono stati risibili , pari quasi a zero.” “La legge Obiettivo voluta da Berlusconi (Ministro Lunardi quello della Tav ndr) aveva concentrato l’attenzione su una miriade di opere nuove”(Stella) . Lo stesso discorso vale per i governi successivi.
Si è svenduto o privatizzato un enorme patrimonio pubblico senza nessun guadagno per i cittadini e neppure per lo Stato come dimostra la vicenda autostrade dove la concessione è stata rinnovata senza gara europea e per questo l’Italia si è presa anche una condanna per violazione della legge europea sulla concorrenza da parte della Corte di Giustizia europea.
L’occasione è ghiotta e allora mettiamoci dentro anche l’aeroporto di Firenze, la Tirrenica e , perché no, anche qualche inceneritore.

Sono gli stessi giornali che si scandalizzano per il taglio di qualche pino o per qualche traliccio della tramvia e che, giustamente, invocano il rispetto del paesaggio e denunciano la cementificazione selvaggia del Bel Paese dovuta, dovrebbero ricordarlo, non al caso ma al bellissimo progresso urbanistico degli anni 60 in poi e non all’abusivismo che pur continua a imperare in alcune regioni.
“I dati della nuova cartografia SNPA mostrano come, a livello nazionale, la copertura artificiale del suolo sia passata dal 2,7% stimato per gli anni ’50 al 7,65% (7,75% al netto della superficie dei corpi idrici permanenti) del 2017, con un incremento di 4,95 punti percentuali e una crescita percentuale di più del 180% (e con un ulteriore 0,23% di incremento nel 2017). In termini assoluti, il consumo di suolo ha intaccato ormai 23.063 chilometri quadrati del nostro territorio con una crescita netta di 5.211 ettari (52 km2) nell’ultimo anno dovuta alla differenza fra nuovo consumo (5.409 ettari, 54 km2) e suolo ripristinato .

Le aree più colpite risultano essere le pianure del Settentrione, dell’asse toscano tra Firenze e Pisa, del Lazio, della Campania e del Salento, le principali aree metropolitane, le fasce costiere, in particolare di quelle adriatica, ligure, campana e siciliana.”(Rapporto Ispra 2018)
L’indagine dell’Agenzia Europea dell’Ambiente sui 39 Paesi indica che, nel periodo 2009-2012, in Italia l’incremento medio annuo dell’impermeabilizzazione del suolo in relazione alla superficie territoriale è pari al 0,049%, un dato significativo considerando che il nostro Paese si colloca al terzo posto con un valore maggiore rispetto a paesi come Spagna (0,031%), Portogallo (0,020%), Germania (0,011%) e Francia (0,006%; EEA, 2017).(idem).

Quindi ogni scelta di consumo di suolo deve essere ben ponderata e deve essere valutata come indispensabile per i bisogni di una comunità. Questo è il vero progresso, mentre anche un giornalista come Ezio Mauro ha rispolverato categorie ottocentesche come se ci fosse un confronto tra positivismo scientifico e oscurantismo clericale.
“Si è spezzato il concetto di progresso(…) anzi ne abbiamo addirittura paura.(…)nella palude della crisi abbiamo ascoltato per troppo tempo i pifferai della decrescita, come se non fosse possibile coniugare lo sviluppo con la trasparenza e l’onestà, e soprattutto come se fosse praticabile il grande inganno di una regressione nazionale felice , affidando a questo destino inverso, antimoderno e oscurantista, la riuscita dell’Italia(…)adesso ci portano al “punto zero” della vicenda italiana, fuori da ogni percorso di sviluppo, in un paese laterale, antico e immaginario, dove tutto è sospetto, anche e soprattutto la crescita” e gran finale “ la buona vecchia idea di progresso deve tornare a parlare ai liberali, alla sinistra, agli uomini e alle donne di buona volontà : semplicemente perché non si può rinunciare a costruire un domani al paese”. Amen.
L’obiettivo polemico sono indubbiamente i 5 stelle , ma è utile rispolverare un concetto di progresso che sembra quello delle macchine a vapore nel 2018? Già nel 1994 il sociologo tedesco Helmut Dubiel sosteneva che la fiducia nel “progresso”, prima appannaggio della tradizione di sinistra, era diventata ormai appannaggio della destra che credeva e crede nella crescita illimitata senza preoccuparsi dei suoi effetti di distruzione di risorse scarse , come l’ambiente.

Alcune posizioni antiscientifiche, come quella sui vaccini e non solo, sono sicuramente da combattere, ma cosa c’entra tutto questo con la decrescita? Questi illustri giornalisti hanno mai letto che cosa scrivono alcuni teorici e studiosi dei “limiti della crescita” o sulla “decrescita”?
Leggono gli articoli che pubblicano i giornali in cui scrivono?
Nel 2018 l’Overshoot day è arrivato il 1 agosto e questo significa che fino al 31 dicembre il mondo è in riserva, consuma risorse che non saranno rinnovabili.
“ In altre parole, la popolazione globale sta consumando risorse 1,7 volte più velocemente di quanto gli ecosistemi del nostro pianeta possono rigenerare. “ Se tutti consumassero come gli italiani di terre ce ne vorrebbero 2,6 e secondo il Global Footprint Network, abbiamo utilizzato 4,6 volte le risorse del nostro paese, piazzandoci al 3° posto nel mondo, dopo Sud Corea e Giappone.
Trenta anni fa l’overshoot day arrivava all’inizio di novembre. Insomma siamo come una persona sovrappeso che continua a mangiare hamburger e patatine, bere cola e non fare movimento, se non ci mettiamo a dieta rischiamo di morire come ci diceva in modo provocatorio il film “La grande abbuffata” di Marco Ferreri del 1973.

Nel 1972 fu pubblicato il primo rapporto su “I limiti dello sviluppo” promosso dal Club di Roma e sono gli anni degli studi dell’economista americano Hermann Daly e del rapporto Bruntland della nazioni unite sullo sviluppo sostenibile(1987).

“Dire che una crescita infinita è incompatibile con un mondo finito e che le nostre produzioni e i nostri consumi non possono superare la capacità di rigenerazione della biosfera sono ovvietà su cui non è difficile trovare consensi” scrive Serge Latouche , citato spesso a sproposito sia da politici che da giornalisti. A proposito di decrescita scrive “ la ricetta della decrescita consiste nel fare di più e meglio con meno” e in un’intervista del 2017 ha precisato “ Il termine non è dunque in partenza un concetto e, in ogni caso, non è il simmetrico della crescita, ma uno slogan politico provocatore, con l’obiettivo soprattutto di farci ritrovare il senso dei limiti; in particolare la decrescita non è la recessione, né la crescita negativa. Diventata rapidamente il vessillo sotto cui si sono radunati tutti coloro che aspiravano alla costruzione di una vera alternativa a una società di consumo ecologico e socialmente insostenibile, la decrescita costituisce ormai una finzione performativa per indicare la necessità d’una rottura con la società della crescita e favorire l’avvento di una nuova civiltà. Si tratta di costruire una società altra, una società d’abbondanza frugale. “
Nel pensiero di Latouche ci sono molte cose non condivisibili ma non lo si può far passare per uno che vuol tornare “alle candele”, “ il suo obiettivo è una società nella quale si viva meglio lavorando e consumando di meno. Si tratta di una proposta necessaria per ridare spazio all’inventiva e alla creatività dell’immaginario bloccato dal totalitarismo economicista, sviluppista e progressista”.

In pratica crescita dell’efficienza ecologica, riduzione dei prelievi di risorse naturali per un aumento della qualità della vita. Si tratta di una prospettiva realistica ? È però un obiettivo auspicabile?
“Quando l’affluenza della produzione naturale minaccia la biosfera e l’affluenza dei consumi riduce le utilità e aumenta i disagi che se ne traggono, i costi incrementali della produzione superano i vantaggi e , paradossalmente, l’aumento del Pil misura l’aumento del malessere. In tali condizioni l’idolo diventa un Pirl ( prodotto interno rozzo e lordo) e l’econimista s’installa in Pirlandia”. Parole di Giorgio Ruffolo, primo ministro dell’ambiente italiano, scritte nel 1994.
Ma si tratta di una visione ancorata alla situazione economica dei paesi sviluppati oppure no?

“Il cammino verso la società d’abbondanza frugale può essere preso in considerazione da tutte le società e, a priori, dalle più diverse organizzazioni politiche. Ne consegue che la società di a-crescita non si realizzerà nella stessa maniera in Europa, nell’Africa sub-sahariana o in America latina, né sotto il vessillo della parola slogan «decrescita», intraducibile al di fuori delle lingue neolatine, e assurdo per le società in cui la popolazione vive al di sotto della soglia della povertà. Non si può dunque proporre un modello chiavi in mano di una società di decrescita, ma solo lo schizzo dei fondamentali di ogni società non produttivista sostenibile, e degli esempi concreti di programmi di transizione.”(s.latouche).
Per Latouche i termini crescita e sviluppo sono simili e di conseguenza la ricerca di uno sviluppo sostenibile può essere considerata, per lui, un paravento per avvalorare scelte economiche ecologicamente discutibili o addirittura un ossimoro. Una risposta arriva ancora dal passato e sempre da Ruffolo che , nel saggio “Lo sviluppo dei limiti” scriveva : “Sviluppare limiti alla crescita significa promuovere nuove forme di sviluppo senza limiti. Il concetto di limite, infatti, vale per i beni che sono obiettivamente limitati. E’ limitato lo spazio fisico. E’ limitato lo spazio sociale. Non c’è invece limite obiettivo alla informazione e all’intelligenza”(…)”la biforcazione di fronte alla quale ci troviamo ci pone non il dilemma tra crescere e non crescere, ma quello tra due tipi di “sviluppo”. Lo sviluppo della potenza – è questo che chiamiamo crescita – e lo sviluppo della coscienza. E’ questo che vorremmo chiamare , più propriamente sviluppo”.
Nel suo recente libro “ Prosperità senza crescita “ Tim Jackson scrive che “il punto di partenza di tutto il nostro ragionamento consiste nel concepire la prosperità come la possibilità per gli esseri umani di essere felici, nel rispetto dei limiti ecologici di un pianeta caratterizzato da risorse finite”(…) di fondamentale importanza è rivitalizzare il concetto di bene pubblico, recuperare il senso di spazio pubblico, di istituzioni pubbliche e investire tempo e denaro in obiettivi, risorse e infrastrutture condivise”(…) l’economia debe essere strutturata in modo da essere coerente con il ruolo centrale della comunità e del bene della società nel lungo periodo, invece di contrastarli”(…) non si tratta di una visione utopica, né di una fantasia occidentale e post-materialista, piuttosto è una visione basata su una migliore comprensione scientifica di chi siamo realmente, in armonia con le nostre realtà più profonde(…) La prosperità è un’impresa collettiva. “ Un’utopia per realisti dove le definizioni di conservatore o progressista ha poco senso. Dobbiamo entrare nel tempo dell’economia circolare alternativa alla crescita lineare per spostare la nostra impronta ecologica verso il 31 dicembre pensando che “ la terra non è un’eredità dei nostri padri ma un dono dei nostri figli”(detto Masai).

 

Leonardo Romagnoli

17.8.18

PS
A proposito di sicurezza. Uno dei primi atti del nuovo governo è stata la chiusura di Italia Sicura una struttura alle dipendenze della presidenza del consiglio che si occupava di dissesto idrogeologico e di progetti di ristrutturazione antisismica di edifici scolastici e pubblici in generale. Era una delle poche cose che funzionavano e invece adesso le funzioni tornano ai ministeri con dispersione di fondi e competenze. Un capolavoro! da applausi!
Dieci miliardi stanziati in quattro anni per la sicurezza delle scuole, oltre 12mila cantieri avviati e monitorati sul sito www.cantieriscuole.it

 

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