Crimini tra realtà e percezione

«I crimini sono in calo, ma c’è chi specula sul senso di insicurezza degli italiani»

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Il numero dei reati è in calo, ma gli italiani si sentono sempre più indifesi. Il fenomeno è paradossale e rischia di caratterizzare le prossime elezioni. Mentre media e leader politici cavalcano gli ultimi casi di cronaca, nel Paese aumenta una diffusa percezione di insicurezza. Il terribile omicidio di Macerata, il raid razzista di Luca Traini, persino il recente omicidio di un rapinatore da parte di un gioielliere nel napoletano. La campagna elettorale si concentra sui temi della sicurezza e dell’immigrazione. Sono gli stessi che orientano maggiormente l’elettorato: secondo alcune rilevazioni quasi un cittadino su tre voterà il partito che trasmette più tranquillità e rassicurazione. «È esattamente così, è il paradosso dell’insicurezza percepita» racconta il professor Fabrizio Battistelli, ordinario di Sociologia all’università La Sapienza. Il docente affronta a fondo l’argomento nel suo ultimo libro La sicurezza e la sua ombra. Terrorismo, panico, costruzione della minaccia, edito da Donzelli. «L’oggettività del fenomeno non è l’unico fattore che determina la risposta delle persone. Anzi, a volte non è neppure il più importante. La sensazione dell’insicurezza è una costruzione sociale, il che non significa che non abbia un fondamento». Nella percezione della propria vulnerabilità intervengono fattori di tipo strutturale: «Elementi che non hanno un rapporto diretto con la sicurezza del cittadino, ma con la sicurezza complessiva. La crisi economica, la mancanza di opportunità di lavoro, la crisi dell’assistenza sanitaria e l’incertezza delle pensioni sono tutti elementi che contribuiscono a creare un senso più ampio di insicurezza». E qui entrano in gioco altre variabili. Evidentemente c’è chi ha interesse ad acuire la sensazione di paura. I mass media e alcuni movimenti politici, ad esempio. «I primi possono guadagnare più audience. I partiti, semplicemente, più voti».
Sono dinamiche sociali che hanno poco a che fare con le statistiche. Le cifre raccontano un Paese sempre più sicuro: il numero degli omicidi in Italia è in diminuzione da tempo. Come ha certificato l’Istat nel recente rapporto sul benessere equo e sostenibile, «nell’ultimo anno si evidenzia una sostanziale stazionarietà dei borseggi e delle rapine, mentre diminuiscono i furti in abitazione dopo anni in cui tali reati sono stati in crescita». Nessun allarme sicurezza, insomma. Nessun aumento esponenziale del crimine. Un esempio? Nel 2016 sono state uccise 400 persone, pari a 0,7 omicidi ogni 100mila abitanti. «L’attuale livello – certifica l’Istat – è di circa quattro volte inferiore a quello degli anni Novanta». E se i livelli di rapine e borseggi restano stabili nel tempo, i furti in abitazione mostrano addirittura un’inversione di tendenza. Iniziano a diminuire rispetto agli anni precedenti. È una realtà fotografata anche dal Viminale. Secondo il ministero dell’Interno nel 2016 si è ridotto il numero di omicidi, rapine, violenze sessuali, furti ed estorsioni. Un trend quantificato in un 16,2 per cento di reati in meno rispetto all’anno precedente. Eppure gli italiani si sentono indifesi. Stando alle rilevazioni di SWG riportate pochi giorni fa dal Messaggero, ormai la percezione di insicurezza accomuna il 70 per cento dei nostri connazionali. Solo quindici anni fa erano il 55 per cento.

Come si spiega? Al netto delle strumentalizzazioni della politica, c’è un altro paradosso. «La paura dei crimini non è proporzionale all’entità dei reati – racconta ancora Battistelli – Ma alla probabilità di esserne vittima». I casi di cronaca nera più eclatanti sono anche i meno diffusi. «Invece sono i furti in casa e gli scippi, reati relativamente minori, ad avere un impatto sociale enorme».

E così si torna a parlare di legittima difesa. Il dibattito politico si incentra sulle paure del Paese. Non è difficile immaginare come questi argomenti possano indirizzare la contesa elettorale. «Questi sono temi che favoriscono la destra, ovviamente» spiega il sociologo. «Perché si presenta e viene ritenuta come la forza politica più propensa e capace nel contrastare l’illegalità. La gente pensa che sia più affidabile ed esperta. La gestione della forza legittima è un cavallo di battaglia della destra».
Intanto il tema viene collegato alle migrazioni. Il paradosso è lo stesso: nonostante la diminuzione degli sbarchi sulle nostre coste, la percezione di insicurezza legata agli immigrati è sempre più diffusa. Ancora una volta i fattori che determinano l’opinione pubblica superano l’oggettività del fenomeno. «I cittadini non hanno atteggiamenti ideologici – spiega Battistelli – L’opinione pubblica italiana non è contraria all’immigrazione in quanto tale. Gli stranieri sono presenti nella vita di tutti i giorni: nei ristoranti, nelle fonderie, in casa accanto ai nostri anziani». Eppure il tema dello ius soli, tanto discusso negli ultimi mesi, sembra quasi sparito dalla campagna elettorale. «È un argomento che non porta voti. Introdurre la cittadinanza per i ragazzi che hanno frequentato le scuole in Italia potrebbe offrire nel lungo periodo maggiore sicurezza dal punto di vista della prevenzione sociale. Ma in un momento di psicosi e paura dei crimini attribuiti agli immigrati è un tema poco popolare. Il martellamento mediatico e politico ha avuto i suoi effetti».

Nessuno nega che le vicende di cronaca di questi giorni siano gravi. «Intendiamoci – insiste Battistelli – la realtà non è il frutto delle strumentalizzazioni. Semmai le strumentalizzazioni danno il colpo di grazia al nostro senso di sicurezza». Per molti cittadini un delitto compiuto da stranieri è psicologicamente meno accettabile rispetto allo stesso crimine ad opera di italiani. «È un punto di vista moralmente sbagliato, ma socialmente diffuso – spiega il professore – Ed è proprio su questo che speculano alcune forze politiche». Inutile dire che il diffuso senso di paura andrebbe affrontato strutturalmente. «In tempi non sospetti, meglio se non in campagna elettorale» continua Battistelli. «La sicurezza si fa in due modi: con il contrasto delle minacce e, prima, con la loro prevenzione, sia di polizia, sia sociale. Quest’ultima è la più risolutiva. La prevenzione sociale però è costosa e non è immediata, va attuata su un arco di tempo lungo. Per molti aspetti c’è già, non è vero che in Italia tutto va male. Nel nostro Paese ci sono due istituzioni che stanno facendo un grande lavoro di prevenzione: la scuola e la sanità, anche se spesso sono nel mirino dei media e della politica, che le attaccano e le vogliono tagliare». Ancora una volta il tema si lega al fenomeno migratorio. «Il welfare – insiste il docente – è una carta decisiva per l’integrazione e la costruzione di rapporti equilibrati tra popolazione italiana e immigrati. Più verrà ridotto, più ci sarà scontro sociale e allora il passo con lo scontro fisico diventa breve».

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