Cosa dice il Pit del Mugello e Valdisieve?

220px-Pontassieve_monte_giovi_veduta_sieveSi avvicina la scadenza per  la definitiva approvazione del Piano di Indirizzo Territoriale della Regione Toscana che tanta discussione ha suscitato sulla stampa per la presa di posizione di alcune associazioni agricole per presunti vincoli sull’espansione della coltivazione della vite in aree di pregio del territorio. Su questo aspetto , in particolare relativo al Chianti, sono già intervenuto e la discussione di queste settimane mi ha confermato l’impressione che qualcuno tenti di utilizzare alcune preoccupazioni, secondo me ingiustificate, per impoverire l’impostazione del Pit per la tutela del territorio agrario e montano da interventi edilizi e predatori.
Il Pit è suddiviso per ambiti e uno di questi è dedicato anche al Mugello (comprendendo in questa classificazione anche la Valdisieve). Si tratta di un centinaio di pagine con tanto di corredo cartografico e iconografico che descrivono il territorio dal punto di vista dell’evoluzione storica e della struttura geomorfologica individuando le criticità e indicando alcuni obiettivi di qualità e direttive per chi dovrà pianificare dal punto di vista urbanistico. Tra le principali criticità di buona parte del territorio, in particolare nelle zone montane, sono indicati i processi di abbandono e ricolonizzazione arbustiva degli ambienti agricoli e pascolivi nelle zone collinari e montane, vasti bacini estrattivi (vedi Firenzuola), i processi di artificializzazione del fondovalle con insediamenti residenziali e commerciali/industriali nei comuni di Barberino, nel triangolo Borgo-San Piero-Scarperia, a Vicchio e nelle aree di pertinenza fluviale a Rufina e Pontassieve.
Gli indirizzi per le politiche sono quindi rivolti alla riduzione dei processi di abbandono, al miglioramento dei livelli di compatibilità delle attività estrattive di pietre ornamentali con bonifica dei siti utilizzati per le grandi opere ferroviarie e stradali.
“Per le pianure alluvionali sono da evitare i processi di saldatura dell’urbanizzazione esistente (ad esempio tra San Piero a Sieve e Borgo San Lorenzo e tra quest’ultimo e Vicchio , tra le Sieci e Pontassieve), così come sono da evitare nuove occupazioni di suolo in aree di pertinenza fluviale, mantenendo i varchi e le direttrici di connettività esistenti”(p.31) Secondo queste indicazioni sarebbe sconsigliato qualsiasi intervento edificatorio che tolga terreno all’agricoltura lungo l’asta della Sieve e soprattutto la creazione di capannoni industriali come sta avvenendo invece tra Borgo e San Piero creando quasi una saldatura fra l’edificato esistente mentre lo stesso Pit invita a recuperare il patrimonio residenziale e produttivo oggi ampiamente inutilizzato negli stessi territori.
“Evitare ulteriori processi di dispersione insediativa/produttiva sui piani alluvionali e di saldatura lineare lungo le riviere fluviali della Sieve e dei suoi affluenti, contenendo i carichi insediativi entro i confini del territorio urbanizzato”(p.37) Come dire , se ci fosse stato il Pit interventi come quelli in atto tra Borgo e San Piero sarebbero stati altamente sconsigliati.
Anche in questa parte troviamo la frase che tanto disturba alcune aziende viticole : “per le aree agricole della Valdisieve e delle colline di Pontassieve risulta importante il mantenimento di buon livelli di permeabilità ecologica, al fine di ridurre l’isolamento dei nuclei forestali, ostacolando ulteriori perdite di agro sistemi tradizionali a vantaggio dei vigneti specializzati”(p.31)”il rischio principale è la riconversione produttiva di coltivi tradizionali in vigneti specializzati di grande dimensione, pertanto per queste porzioni di territorio(…)l’indirizzo fondamentale è di realizzare nuovi impianti viticoli (o reimpinati) equipaggiati di una rete di infrastrutturazione agraria e paesaggistica articolata e continua, data dal sistema dal sistema della viabilità di servizio e dal corredo vegetazionale della maglia agraria, è inoltre fondamentale interrompere le pendenze più lunghe al fine di contenere i fenomeni erosivi”(p.45).( lo stesso ministero dell’agricoltura e foreste ha inserito il paesaggio nelle priorità del Piano Strategico Nazionale e prevede incintivi agli agricoltori che scelgono di perseguire “buone pratiche per il paesaggio”, senza porre vincoli su porzioni di territorio). Il professor Agnoletti dell’Università di Firenze, il maggior studioso italiano del paesaggio agrario, ha sostenuto in una recente intervista che “ l’idea che conservare sia contrario ad innovare è obsoleta e usata spessoin modo strumentale, ad esempio coltivare su un terrazzamento richiede entrambe le cose. Certo la loro gestione è più onerosa ma gli studi economisti indipendenti mostrano che sul prezzo finale della bottiglia i costi aggiuntivi sono del 10% in più, un costo sostenibile pensando ai contributi che arrivano. Spesso si scorda che è in atto un patto fra società ed agricoltura, parte delle tasse dei cittadini vengono date agli agricoltori per le insostituibili funzioni che essi svolgono per la società e fra queste vi è anche la produzione di paesaggio”.MONTEBENI E PIETRAMALA

Si è detto spesso che il piano è complesso e illeggibile per un non “addetto ai lavori” e questa è un’ulteriore dimostrazione che molti non lo hanno letto perché gli obiettivi di qualità e le direttive di tutta l’analisi svolta nello studio(dove ci sono anche cose non condivisibili) sono sintetizzate in una sola pagina la numero 58. Gli obiettivi sono solo due : “Riqualificare i sistemi insediativi di pianura e fondovalle e riattivare le relazioni fra le aree montano-collinari e la valle della Sieve” e “Tutelare i rilievi dell’Appennino Tosco-Romagnolo, di Monte Giovi e della Calvana per i loro valori idrogeologici, naturalistici, storico-culturali e scenici, salvaguardare i centri minori montani, il loro rapporto con il territorio e contenere i processi legati all’abbandono”. All’interno di questi macro obiettivi ci sono le direttive vere e proprie fra cui “evitare la marginalizzazione e il conseguente abbandono delle colture agricole ad opera di nuove infrastrutturazioni e urbanizzazioni insediative e produttive “, promuovere “il recupero dei contenitori produttivi esistenti in disuso e mitigandone il loro impatto ambientale e paesistico attraverso la riqualificazione come “ aree produttive ecologicamente attrezzate” ( che godono anche di finanziamenti comunitari)”, valorizzare i collegamenti trasversali con modalità di spostamento integrate sostenibili e multimodali” (in altra parte si sottolinea il ruolo fondamentale della faentina anche dal punto di vista turistico). La spinta al recupero e valorizzazione del patrimonio è molto forte : “rivitalizzare e riqualificare in chiave multifunzionale (abitativa , produttiva, di servizio e ospitalità) gli insediamenti alto collinari e montani anche abbandonati e semiabbandonati” “ attivando azioni volte al miglioramento dell’accessibilità e dell’offerta di trasporto pubblico alle persone e alle aziende agricole”. Il piano vuol dare il suo contributo per arginare i processi di abbandono delle attività agrosilvopastorali soprattutto nelle aree collinari “tutelando la maglia agraria di impianto storico e la sua funzionalità ecologica(..)il recupero di colture tradizionali e la diffusione di colture biologiche, la promozione dlel’offerta turistica e agrituristica legata alle produzioni enogastronomiche di qualità, favorendo il recupero della coltura del castagno da frutto e della viabilità di servizio.” Per la viticoltura specializzata si ripete quando già detto in precedenza e infine si invita, nel territorio di Firenzuola, a razionalizzare e riqualificare i bacini estrattivi.
Non mi sembra ci siano atteggiamenti ideologici da parte degli estensori del Pit che giustamente sottolineano il ruolo fondamentale della tutela del paesaggio come necessità storica e costituzionale. Il paesaggio come bene comune da valutare nelle sue interrelazioni con le attività economiche e il benessere della comunità nel suo insieme cercando di salvaguardarne la bellezza come patrimonio anche delle generazioni future e come tratto distintivo della storia di un territorio.

Leonardo romagnoli
28.9.14

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