Città e territorio. Da 7,3 a 2,2 euro a km la spesa per la manutenzione

Città e territorio. Da 7,3 a 2,2 euro a km la spesa per la manutenzione

di Paolo Berdini

www.ilmanifesto.it
Il manifesto 15.8.18

Le città e i territori costano. Bisogna costruire infrastrutture, ponti, servizi. Bisogna poi tenere in vita e in sicurezza quelle opere. Servono risorse umane ed economiche. Nella storia delle nostre città e dei territori questa legge ineludibile è stata sempre rispettata. Il sistema della manutenzione era un elemento prioritario della vita nazionale e c’erano le istituzioni pubbliche che presidiavano quella fondamentale funzione. L’Upi, Unione provincie italiane afferma che la spesa per chilometro (ci sono 152 mila chilometri di strade regionali e provinciali) in pochi anni è passata da 7,3 a 2,2 euro a chilometro. Nulla.

La manutenzione della rete capillare che fa vivere il sistema Italia è stata cancellata dalle politiche dei tagli di bilancio. Non c’è comune italiano – si può’ affermare con certezza – che abbia le risorse per la manutenzione ordinaria e straordinaria del proprio patrimonio infrastrutturale. Servirebbero somme imponenti. Lo sviluppo lineare della rete stradale comunale supera il milione di chilometri. Sicurezza e decoro della vita di tutti i cittadini necessiterebbero di alcune centinaia di miliardi di euro. Ci sono soltanto tagli.

Il ponte di Genova non era un’opera minore. Era un’infrastruttura nevralgica del sistema paese. Evidentemente la follia liberista non si è fermata alle opere minute. E’ dilagata in ogni settore, comprese le opere affidate in concessione, come il sistema autostradale italiano. E mentre l’imponente sistema nazionale va in rovina continua l’assedio per costruire altre opere stradali. Domina una cultura imprenditoriale che comprende solo i processi incrementali e non si occupa del tema della manutenzione gettando il paese intero in un pericolosissimo vicolo cieco. E’ la stessa logica perversa che sta facendo marcire un immenso patrimonio immobiliare pubblico in ogni luogo urbano poiché non ci sono risorse per rimetterlo in vita. Evidentemente qualche potentato immobiliare o finanziario vuole acquisirlo a poco prezzo impoverendo tutti i cittadini.

La manutenzione attiva viene disprezzata a confronto della cultura del “nuovo”. Un tragico errore. Non c’è giorno in cui un chiacchiericcio insopportabile ci dice che il futuro è in concetti fumosi come le smart city. Penso con dolore di fronte a tante vite umane distrutte, a quali prospettive per le più innovative aziende e per i giovani potrebbero diventare realtà avviando l’istallazione di sensori che tengano sotto osservazione tutti i ponti stradali esistenti ponendoli a sistema attraverso tecnologie satellitari. Anas ha in programma di realizzare un tale sistema sui suoi 12 mila viadotti ma bisogna passare all’immenso patrimonio diffuso di 50 mila viadotti, molti di vecchia concezione. Servono centinaia di miliardi.

Facile a dirsi. Difficile a farsi in tempi di scomparsa del concetto di Stato e di assenza di risorse pubbliche.

Solo tre esempi. Un decreto ministeriale del 2001 prevedeva la costituzione del catasto della rete stradale italiana, opera prioritaria per poter programmare. Non è stato fatto nulla e per sapere qualcosa dobbiamo ricorrere a studi di Unioncamere.

Dopo ogni terremoto si sentono le solite chiacchiere. Intanto non è ancora avviato un concreto piano di messa in sicurezza del patrimonio edilizio esistente e il recente terremoto dei monti Sibillini ha finanziamenti modesti. Un intero territorio montano è abbandonato da due anni. Frane e smottamenti sono una costante in un territorio giovane e tormentato come il nostro. Manca ancora di essere completata la carta geologica e il censimento delle frane e il loro monitoraggio.

Il tragico crollo di Genova può essere uno spartiacque per avviare il paese sull’unica prospettiva di crescita, quella della messa in sicurezza e della manutenzione specialistica che apra al settore produttivo italiano la prospettiva di un salto culturale e tecnologico. Spiace che di fronte a questo scenario ci siano importanti forze imprenditoriali che hanno preso a pretesto questa immane tragedia per portare acqua alla realizzazione di grandi opere.

L’Italia ha certo bisogno di alcune opere che rendano moderno il sistema infrastrutturale. A patto di discuterne in modo maturo e trasparente con le comunità cittadine e – soprattutto – riversare ogni risorsa umana, progettuale e economica pubblica sulla prospettiva del salto tecnologico e culturale che il paese attende.

Polcevera, un crollo annunciato

C’erano stati tanti segnali che evidenziavano la fragilità della grande infrastruttura. Basta rileggere la storia recente per capire come il ponte fosse sottoposto ad uno stress quotidiano che non era stato messo in conto quando venne concepito

Polceverauì

Come può accadere che uno dei più importanti ponti delle infrastrutture italiane crolli, e crolli alla vigilia di Ferragosto? È la domanda inquietante che tutti ci stiamo facendo in questa giornata che segna una delle pagine più drammatiche della recente storia italiana. È crollato un ponte che è stato un manufatto simbolo dell’Italia del boom degli anni 60. Costruito da un ingegnere romano, Riccardo Morandi, al quale poi il ponte è stato dedicato. Una meraviglia dal punto di vista ingegneristico e anche estetico con le tre torri alte 90 metri che ne reggevano l’impalcato, grazie ai grandi tiranti (primo ponte costruito a “trave strallata” in Europa). Ci si chiede come possa essere accaduto. E si scopre che il ponte da un po’ stava soffrendo tanti fattori che ne minavano la sicurezza. Il primo fattore è naturalmente il tempo: se a Riccardo Morandi avessero chiesto quanto sarebbe durato il suo ponte, non avrebbe certamente risposto “per sempre”. Opere come queste chiedono di essere adeguate ad una realtà che cambia in modo veloce: per i ponti costruiti durante il boom ad esempio si attribuivano 50 anni di vita. E i 50 anni del viadotto sul Polcevera sono scaduti da poco, essendo stato inaugurato nel 1967. Tra i fattori entrati in gioco che cambiano le condizioni di scurezza di una struttura come quella che unisce Genova al Ponente, c’è naturalmente l’intensità del traffico e lo stress a cui viene quindi inevitabilmente esposta: lo scorso 25 aprile in direzione di Genova era stata registrata una coda di 50 km… Sul Polcevera attualmente ci sono 25,5 milioni di transiti l’anno, con un quadruplicamento del traffico negli ultimi 30 anni e destinato a crescere, anche in assenza di intervento, di un ulteriore 30% nei prossimi 30 anni.

Ma soprattutto è aumentato il “peso” del traffico pesante: come ha documentato Milena Gabanelli in una puntata dei suoi Dataroom, «da anni si caricano di più i camion di più per fare meno viaggi e tagliare sui costi. I viadotti però sono sempre quelli degli anni Settanta, ma nessuno ha provveduto a rinforzarli, perché non esiste un monitoraggio sulle ricadute delle leggi e fenomeni di mercato». Un allarme che non è di oggi: come riporta il sito di Nextquotidiano in una relazione di Autostrade per l’Italia del maggio 2011 sull’adeguamento del sistema A7-A10-A12 si diceva che il tratto autostradale A10 a Genova e l’innesto sull’autostrada per Serravalle producono «quotidianamente, nelle ore di punta, code di autoveicoli ed il volume raggiunto dal traffico provoca un intenso degrado della struttura del viadotto ‘Morandi’, in quanto sottoposta ad ingenti sollecitazioni. Il viadotto è quindi da anni oggetto di una manutenzione continua».

Il 26 aprile 2016 il senatore genovese Maurizio Rossi aveva fatto un’interpellanza parlamentare che riguardava la situazione delle infrastrutture della città. E tra i punti sui quali chiedeva risposta c’era anche questo: «Il viadotto Polcevera dell’autostrada A10, chiamato ponte Morandi, è una imponente realizzazione lunga 1.182 metri, costituita su 3 piloni in cemento armato che raggiungono i 90 metri di altezza che collega l’autostrada Genova – Milano al tratto Genova – Ventimiglia, attraversando la città sulla Val Polcevera; recentemente, il ponte è stato oggetto di un preoccupante cedimento dei giunti che hanno reso necessaria un’opera straordinaria di manutenzione senza la quale è concreto il rischio di una sua chiusura». Si chiedeva quindi «se corrisponda al vero che il Ponte Morandi, viste le attuali condizioni di criticità, potrebbe venir chiuso, almeno al traffico pesante, entro pochi anni gettando la città nel totale caos».

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