La forbice sociale

La forbice sociale

 

Il denaro stesso è la sola merce che l’industria finanziaria produce con operazioni sempre più azzardate e sempre meno controllabili sui mercati finanziari(…) L’economia reale diventa  un’appendice delle bolle speculative incoraggiate dall’industria finanziaria”(A.Gorz) 

La forbice sociale 

 

“Non è accettabile che si continui a parlare di austerità senza affrontare la questione delle diseguaglianze che aumentano. Questa è politica. L’antipolitica è quella dei politici di professione(ma anche tecnici) che ignorano le diseguaglianze di cui le loro decisioni(o non decisioni) sono la causa”, così terminava la riflessione sulla crisi di Chiara Saraceno apparsa sulla Repubblica e sintesi non poteva essere più efficace di fronte ad un governo che parla molto di equità ma non ha fatto niente per attuarla. Anzi applicando una politica di tassazione che colpisce indiscriminatamente tutti i cittadini non fa che ampliare le diseguaglianze. Non c’è cosa peggiore , diceva don Milani, che fare parti eguali fra diseguali. 

Se dobbiamo ringraziare Monti per averci reso un po’ di orgoglio nazionale dopo il governo burlesque dell’ottavo nano e della lega tanzana, non bisogna dimenticare che i provvedimenti che vengono attuati rispondono ad un preciso disegno economico e anche politico come dimostra l’accanimento sui temi del lavoro e delle tutele garantite dall’art.18. Addirittura si è arrivati a scrivere che l’art.18 vale 200 punti di spread, quasi fosse la causa del deficit pubblico o della non crescita del paese. Affermazione falsa come dimostrano ampiamente le statistiche. Si tratta invece di una precisa volontà politica ( una volta si sarebbe detto di classe) per ridimensionare il ruolo del sindacato all’interno di luoghi di lavoro e nella concertazione economica in perfetta sintonia con quanto sta facendo l’ad di Fiat Marchionne con le ristrutturazioni di Pomigliano e di altri stabilimenti con un’inaccettabile violazione delle regole democratiche e del diritto di rappresentanza, senza che a questa perdita di diritti corrisponda nessuna crescita economica. 

Un autoritarismo economico che guarda al capitalismo cinese senza la crescita delle tigre asiatica, oppure , come sostiene Luciano Gallino, importando bassi salari e diritti limitati dagli Stati Uniti, “mettendo in atto su una scala alquanto ridotta quello che inizialmente si pensava di poter fare prendendo come riferimento Cina, India o Indonesia”. 

La Fiat è arrivata a chiudere l’unico stabilimento di autobus in Italia quando dovrebbero invece crescere gli investimenti nel trasporto pubblico. E’ stata promessa la “fabbrica italia” con miliardi di investimenti che sono rimasti sulla carta mentre gli unici modelli che vengono prodotti sono evoluzioni di prodotti già noti o modelli Chrysler con diverso nome. La Fiat sta desertificando l’attività industriale nel torinese e in altre parti d’Italia mentre cresce con le speculazioni finanziarie che rendono ricco lo stesso Marchionne. Si pensa di diventare competitivi comprimendo il salario dei lavoratori e nello stesso tempo ci si lamenta di un calo dei consumi che incide negativamente sulla produzione delle aziende come se i lavoratori non fossero consumatori o i beni prodotti fossero solo indirizzati all’esportazione o a settori sociali particolarmente agiati. “L’economia globalizzata produce sempre più beni ( e in misura inferiore servizi) che hanno bisogno di acquirenti, ma la stessa economia ha bisogno di mettere i lavoratori in competizione tra loro, abbattendone il più possibile i salari ; da qui quello che possiamo definire il paradosso del lavoratore, al quale si chiede di spendere molto, guadagnando poco!”(Costantino). 

Un secolo fa Henry Ford decise di aumentare gli stipendi dei suoi dipendenti perchè li riteneva i primi acquirenti delle macchine che produceva la sua azienda mentre oggi un dipendente Fiat , rispetto agli anni 60, ha visto aumentare notevolmente i mesi di lavoro necessari per poter acquistare un’auto che esce dalla sua fabbrica. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro a parità di potere d’acquisto tra il 1988 e il 2006, gli stipendi reali sono diminuiti in Italia di circa il 16%(Carniti).
“ Somme enormi , nell’ordine di centinaia di milioni e talora di miliardi di euro, vengono destinate agli azionisti e ai manager piuttosto che alla ricerca e allo sviluppo, agli investimenti in nuovi impianti, alle infrastrutture, quando il 50-60% e più degli utili viene assegnato ogni anno ai compensi dei top manager anziché all’aumento dei salari e stipendi si ottengono due risultati negativi: si accrescono a dismisura le diseguaglianze, l’indice più sicuro di chi stia davvero vincendo la lotta di classe, e si genera un rallentamento della domanda interna, non a caso i salari reali in America sono fermi dai primi anni 70 e quelli italiani ristagnano da una quindicina d’anni”(Gallino). 

Per mantenere,quindi, certi livelli di consumo è obbligatorio ricorrere all’indebitamento che ha raggiunto livelli insostenibili negli USA con le conseguenze che stanno alla base della crisi che stiamo vivendo. 

“Il veicolo del contagio sono gli ormai famigerati titoli tossici. Titoli costruiti cartolarizzando i debiti delle famiglie americane,mescolando debiti ad alto e basso rischio di insolvenza in modo da rendere indistinguibile il rischio di default. Questi titoli sono stati venduti in tutto il mondo. Quando un calo dei valori immobiliari in America innesca la crisi dei mutui sub-prime,quelli di peggior qualità, l’insolvenza di pochi americani si trasforma nella potenziale insolvenza di molti. A cominciare da quella delle banche di tutto il pianeta, più o meno imbottite di titoli(tossici) sul debito delle famiglie americane. La conseguenza è l’impennata dei tassi interbancari seguita al crollo del credito(il credit cruch), che conduce alla recessione mondiale”(S.Bartolini).
Tutto questo avviene perchè l’economia si è sempre più finanziarizzata e la ricchezza non dipende dalla capacità manifatturiera di una nazione (o almeno non solo). Tra il 1997 e il 2007 la produzione economica mondiale è cresciuta del 50%, il mercato dei derivati dell’ 850% (D.Harvey). 

E’ come se ci fosse uno scontro tra economia reale ed economia finanziaria, ha fatto notare Marco Panara : nel 2003 per ogni dollaro di prodotto globale ce n’erano 9 di finanza; oggi per ogni dollaro di prodotto globale di finanza ce ne sono 14. Queste le cifre reali : 37.000 miliardi di prodotto globale e 321.000 di attività finanziarie nel 2003 e 63.000 miliardi di prodotto e 851.000 miliardi di attività finanziarie nel 2010 e di questi solo 250 mila sono attività finanziarie tradizionali mentre 601.000 miliardi sono derivati ovvero le attività finanziarie meno trasparenti e regolamentate. Inoltre la finanza – come scrive sempre Marco Panara – è velocissima rispetto all’economia reale ma anche rispetto ai processi legislativi o alle decisioni amministrative.”Per la finanza gli orizzonti sono brevi, spesso brevissimi, a volte istantanei, il medio periodo non conta, il lungo non esiste.” Guadagno facili e poco tassati. Questi numeri ci fanno capire l’importanza della Tobin Tax che riguarda proprio le transazioni finanziarie e che permetterebbe di reperire ingenti risorse da destinare al lavoro, alla cultura e al sociale invece di alimentare la rendita(una tassa tra 0,5 e 1% sulle transazioni valutarie). Ed oggi la finanza detta i tempi anche alla politica che “giudica con le sue logiche basate sui tempi brevi e determina i costi(quello del denaro innanzitutto), senza rispondere a nessuno se non ai suoi interessi, che sono di fare profitti, subito, incurante dei prezzi economici e sociali che questa fretta predatoria comporta”(idem). 

La finanza dunque come causa della crisi ma anche come beneficiaria di ingenti risorse pubbliche ad iniziare proprio dagli USA, dove nei cinque anni della crisi le amministrazioni Bush e Obama hanno elargito ben 7.700 miliardi di dollari. Nonostante questo circa 500 banche sono state poste in liquidazione e altre 500 lo saranno nei prossimi anni per ripulire il mercato finanziario da prodotti ormai inesigibili. In Europa all’inizio le banche hanno ricevuto aiuti per 2.178 miliardi restituiti per il 50% a metà 2011 ma l’aggravarsi della crisi ha portato la Bce e alcuni stati ad intervenire pesantemente (compresa la Germania che ha concesso 400 miliardi per non far fallire la seconda banca tedesca) superando i 2600 miliardi. Ma tutto questo non è ancora sufficiente per dare stabilità sicurezza ed il problema , come ha scritto Claudio Mezzanzanica, non sono i titoli di stato più o meno forti ma le ricchezze fasulle (come i Cds credit default swap)di cui ancora sono piene le banche e anche alcuni stati come dimostra il recente pagamento di diversi miliardi di euro operato dal governo italiano a favore di Morgan Stanley per liquidare titoli acquistati dal precedente governo. 

Se l’Europa si comportasse come un unico stato e la Bce come la Fed americana i problemi economici che ci attanagliano sarebbero molto ridimensionati e sicuramente non influenzabili dalle bizzarrie dei mercati. Stati Uniti e Giappone hanno un debito in rapporto al Pil molto elevato, gli Usa simile a quello italiano e il Giappone addirittura del 223%, mentre la media europea è sotto il 100%. “per affrontare con qualche possibilità di successo i nuovi problemi servirebbero istituzioni e progetti politici all’altezza delle sfide”(Carniti) e non certo visioni nazionalistiche o proclami per l’abbandono dell’euro. 

Per uscire da questa situazione è indispensabile ridurre il debito per liberare risorse per la crescita ma non si può pensare di farlo ricorrendo ad un aumento della tassazione diretta e indiretta che aumenta invece le diseguaglianze. Non aver scelto di applicare una patrimoniale sui grandi patrimoni o un prelievo sulla ricchezza privata non è solo determinato dal peso di una parte politica nella maggioranza che sostiene il governo ma anche da una precisa volontà e visione economica. Ed è un frutto evidente di quella che Bartolini chiama postdemocrazia che è caratterizzata dall’influenza crescente delle élites economiche sulle decisioni politiche e dalla diminuzione della possibilità per la massa dei cittadini di partecipare, non solo con il voto ma anche attraverso la discussione e organizzazioni autonome, alla definizione delle priorità della vita pubblica. 

Si è preferito intervenire sul sistema pensionistico non per riformarne gli aspetti distorsivi e ingiusti ( e quindi anche gli eventuali sprechi) ma per allungare l’età pensionabile e diminuire di fatto l’erogazione di prestazioni da parte dello Stato e rendendo il nostro sistema il più penalizzante per i lavoratori rispetto alle altre grandi economie d’Europa. 

Europa spesso chiamata a giustificazione di scelte impopolari e fortemente ideologiche come quelle che riguardano il mercato del lavoro delle quali ci sfugge la razionalità se non guardando agli interessi esclusivi di chi vuol riportare il lavoro al semplice valore di merce dimenticando quanto i padri costituenti hanno inserito nella nostra carta costituzionale a partire dall’art.1 che definisce l’Italia una repubblica fondata sul lavoro ( a questo va aggiunto l’art. 36 che parla della retribuzione per un’esistenza libera e dignitosa,”nemmeno preso in considerazione nel dibattito pubblico e nell’agenda politica del nostro paese”- Gallino). 

Con quale logica si può sostenere che favorendo il licenziamento individuale si incrementa l’occupazione e in particolare dei giovani? Si potrebbe verificare l’espulsione di lavoratori avanti con gli anni nello stesso momento in cui si allungano invece i tempi per andare in pensione? Dove sono gli ammortizzatori sociali che dovrebbe permettere di rendere sostenibile la flessibilità? Si parla spesso a vanvera di Germania o addirittura di Danimarca ma siamo lontani anni luce rispetto alle risorse pubbliche che questi stati utilizzano per le politiche attive del lavoro e se si ritiene il modello tedesco efficiente perchè non lo si importa semplicemente senza fare demagogia?
L’Italia ha non solo un problema di disoccupazione(che è determinato da coloro che cercano un lavoro) ma soprattutto di occupazione. I numeri sono impietosi : in Italia il tasso di occupazione è del 56,9% , quello sotto i 25 anni il 20,5% e quello femminile 46,1%; la Francia 64%, 30,8% e 59,9%, la Germania 71,2%,46,8% e 66,1%, la tanto citata Danimarca ha un tasso di occupazione del 73,4%, quello sotto i 25 anni del 58,1% e quello femminile 71,1%. 

Per avere certi risultati bisogna investire in politiche attive del lavoro e credere veramente nelle pari opportunità e quando ci beiamo delle nostre percentuali di disoccupazione che sono inferiori di 0,5% rispetto alla media europea dovremmo almeno sommarci queste differenze che sono invece abissali. “Per capire come vanno davvero le cose, più che al tasso di disoccupazione, che nasconde una parte rilevante della realtà, dobbiamo abituarci a guardare al tasso di occupazione sulla popolazione in età da lavoro e al numero di nuovi posti di lavoro netti creati , per valutare se ci stiamo muovendo nella direzione giusta o stiamo solo fingendo di farlo”(M.Panara).
Ma è davvero l’Europa che ci chiede di modificare lo statuto dei lavoratori? 

Recentemente la Commissione ha presentato un pacchetto occupazione per sollecitare gli stati membri a rafforzare le loro politiche su lavoro. Queste alcune delle proposte agli stati:  

 

·         pongano in atto le condizioni adeguate per stimolare la creazione di posti di lavoro e la domanda di manodopera come ad esempio sussidi alle assunzioni nel caso di creazione di nuovi posti di lavoro, uno spostamento del carico fiscale(che sia neutro sotto il profilo del bilancio) dalla tassazione che grava sul lavoro alle tasse ambientali, ovvero il sostegno ai lavoratori autonomi;  

 

·         valorizzino gli ambiti che presentano potenzialmente grandi prospettive occupazionali per il futuro come ad esempio l’economia verde nel cui contesto si potrebbero creare 20 milioni di posti di lavoro tra adesso e il 2020 e includano l’occupazione verde nei loro piani nazionali per l’occupazione, accrescendo la conoscenza delle abilità richieste nell’economia verde;  

 

·         migliorino la pianificazione e la previsione delle necessità di manodopera nella sanità per meglio equilibrare la domanda e l’offerta di operatori sanitari offrendo loro prospettive di lavoro di lungo periodo e stimolando lo scambio di strategie efficaci per il reclutamento e la fidelizzazione degli operatori sanitari. La commissione avvia inoltre una consultazione sulle opportunità occupazionali nell’ambito dei servizi alle persone e dei servizi domestici; 

 

·         si adoperino per accrescere una manodopera altamente qualificata nelle telecomunicazioni e promuovano le competenze digitali tra tutta la forza lavoro. 

 

Per quanto riguarda i mercati del lavoro si chiede che divengano più dinamici ma non nel senso indicato dal nostro governo:  

 

·         trarre insegnamento da quanto si è appreso nel corso della crisi, stimolando ad esempio la flessibilità interna per ridurre l’insicurezza del lavoro e i costi fiscali;  

 

·         definire salari decenti e sostenibili ed evitare le trappole dei bassi salari;  

 

·         assicurare soluzioni contrattuali adeguate per prevenire il ricorso eccessivo ai contratti non standard .  

 

La commissione ribadisce la necessità di offrire effettive opportunità per i giovani nonché di sviluppare l’apprendimento permanente che è un elemento chiave per la sicurezza dell’occupazione e per la produttività e invita a creare un vero mercato del lavoro europeo rimuovendo tutti gli ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori. 

Il pacchetto sottolinea inoltre l’importante correlazione tra gli aspetti politici e gli strumenti finanziari dell’UE(come ad esempio il Fondo Sociale Europeo) al fine di sostenere le priorità occupazionali e le riforme dei vari paesi. La Regione Toscana, ad esempio, ha fatto ricorso al Fse per il progetto giovani ma anche per finanziare cassa integrazione in deroga e altri provvedimenti di sostegno al reddito e all’occupazione. 

In questo quadro assumono ancora minor senso buona parte delle proposte di riforma del mercato del lavoro avanzate dal governo( e anche da qualche tafazzista di sinistra) se non in una logica di ridimensionamento del potere sindacale sui luoghi di lavoro e della contrattazione collettiva in favore di un rapporto diretto tra lavoratore e datore di lavoro. Un riportare le lancette delle relazioni sindacali agli anni 50 che dipende anche dalla qualità del tessuto produttivo italiano che , con poche eccezioni, “è impegnato a difendere i sempre più risicati margini di competitività contando esclusivamente sull’intensificazione dei ritmi di lavoro e la compressione dei salari”(G.Viale) e non certo sull’innovazione. 

In linea con quanto ha scritto la Commissione dovremmo sviluppare la Green Economy partendo dal settore delle energie rinnovabili e dal risparmio energetico ( che coinvolgono tutti i settori dalla meccanica all’edilizia, dalla ricerca al credito) utilizzando la leva fiscale e gli incentivi come è avvenuto anche in anni recenti. Si creano migliaia di posti di lavoro e si incrementano anche le entrate fiscali dello stato perchè si riducono le prestazioni al nero come dimostrato dalle detrazioni per gli interventi di ristrutturazione degli edifici ai fini della riduzione dei consumi energetici.
E invece il governo pensa di intervenire per ridurre queste opportunità credendo in tal modo di aumentare le entrate e ridurre i costi di energia per i cittadini supportato da una campagna mediatica martellante che pone l’accento sui sussidi troppi generosi. Ma questa crescita ci ha permesso di diminuire la nostra dipendenza dai combustibili fossili, ci permetterà di centrare gli obiettivi europei del 20% di produzione energica da rinnovabili e del meno 20% di consumi al 2020 senza incorrere in pesanti sanzioni, ci permetterà di creare migliaia di posti di lavoro qualificati e di sviluppare un settore industriale tecnologicamente avanzato e una rete di servizi diffusa sul territorio. Una scelta miope che non guarda alle generazioni future e neppure all’Europa mentre contemporaneamente si appresta a dar il via alle trivellazioni alla ricerca di idrocarburi non lontano dalle nostre coste. 

L’aggravio dei costi dell’energia “ è anzitutto dovuto all’aumento dei costi delle materie prime fossili utilizzate dalle centrali tradizionali con cui si genera l’80% dell’elettricità(…) ed è proprio il contributo delle rinnovabili che potrà permettere , in un futuro che può essere prossimo, di ridimensionarne l’impatto sul costo dell’energia sulle bollette”(M.Galeotti). 

Ma la bolletta è composta di quattro voci : servizi di vendita,servizi di rete, imposte e altri proventi e oneri e le rinnovabili sono comprese in questa ultima voce che pesa per 7 miliardi di cui il 70% è rappresentato dalle rinnovabili vere mentre il 30% fa riferimento al famigerato Cip 6/92 che compensa i produttori da fonti “assimilate” come le centrali a ciclo combinato alimentate con i metano o il gas ottenuto dalla gassificazione dei residui di raffineria, termovalorizzatori connessi agli inceneritori di rifiuti e cosi via(idem). Galeotti sottolinea poi come , nel caso delle rinnovabili, non si tratti di sussidi ma di sostegno alla diffusione di nuove tecnologie per raggiungere risultati di autosufficienza energetica, minori emissioni inquinanti con effetto calmierante sui prezzi e la possibilità di creare nuova occupazione e nuove opportunità di sviluppo veramente sostenibile. 

Quando si parla di rinnovabili si pensa quasi unicamente alla produzione di elettricità ma anche dal settore termico possono arrivare risultati straordinari. Secondo uno studio della Bocconi curato dal prof. Gilardoni il beneficio , al netto dei costi , che le rinnovabili termiche possono portare al sistema paese potrebbe toccare i 90 miliardi al 2030. “ per la precisione le rinnovabili termiche nel periodo 2008-30 produrrebbero un guadagno netto di oltre 89,6 miliardi , anche considerando costi come gli incentivi e gli investimenti necessari, la domanda di biomasse e la perdita di occupazione nel settore dei fossili(…) lo sviluppo delle rinnovabili termiche, stima lo studio, è in grado di generare oltre 130.000 nuovi occupati rispetto al 2011. Infine ci sono i benefici ambientali in termini di emissioni di gas serra e altri inquinanti : solo per la CO2 fanno diminuire le emissioni di 17 milioni di tonnellate l’anno”(Qualenergia). 

Abbandonando la logica delle grandi opere, in gran parte inutili e generatrici di poco occupazione, si potrebbero liberare risorse da destinare a due settori importantissimi per l’economia e la vita dei cittadini : l’acqua e l’abitazione. Per l’acqua sono necessari miliardi di investimenti che non è pensabili possano scaricati sulle bollette degli utenti perchè si creerebbero, come avviene adesso, disparità troppo ampie nell’accesso al servizio a seconda della residenza. L’acqua come grande opera pubblica per risolvere i problemi generali di approvvigionamento, deposito e depurazione dopodiché è giusto che la tariffa copra gli interi costi di gestione e dei futuri investimenti.
La crisi rende indispensabile una politica nazionale per il diritto alla casa che può avvenire anche il recupero di un patrimonio immobiliare pubblico inutilizzato e favorendo anche l’introduzione “ di nuovi strumenti in grado di incrociare anche la nuova domanda di spazi di vita e di lavoro, proveniente soprattutto dalle giovani generazioni, abituate alla condivisione , sia a causa dell’ambiente tecnologico in cui sono cresciute che per necessità(Carlini – Gnesutta). 

Oltre alla Green Economy i posti di lavoro qualificati in altri paesi europei e negli stati uniti sono aumentati non nei tradizionali settori manifatturieri ma nella cura della salute, nell’educazione e nelle professioni mentre nel nostro paese solo la salute ha visto una modesta crescita di 8000 unità mentre nell’ educazione e nelle professioni si sono persi quasi 100.000 posti e brilliamo, invece,  in badanti, baby sitter e colf pagati direttamente dalle famiglie (+125.000).
Bisogna smettere di considerare sanità ed educazione come costi e considerarli invece settori economici che aumentano la ricchezza della società e che possono essere gestiti con efficienza(Panara).

Altri posti di lavoro cresceranno , secondo gli esperti, nei servizi a basso valore aggiunto rivolti alla persona o al tempo libero e l’Ilo (Organizzazione internazionale dl lavoro) “ pone l’accento su un lavoro che non sia solo un mezzo di sussistenza, lavoro dignitoso significa un lavoro produttivo, nel quale vengano rispettati i diritti, che produce un reddito adeguato e che comporta meccanismi adeguati di protezione sociale”(Rosas).
L’agricoltura è un altro settore fondamentale dell’economia trascurato dalle politiche anticrisi nonostante produca ricchezza, beni e servizi indispensabili alla vita umana con una quota di occupazione che, tra diretta e indiretta, è tutt’altro che marginale soprattutto in un paese come l’Italia. 

Abbiamo tutte le opportunità per invertire una tendenza che rischia di diventare autodistruttiva  che mette in discussione non solo la piena occupazione e un reddito garantito ma la possibilità di avere un impiego(Gorz). Parlando degli Stati Uniti di qualche anno fa Gorz notava che “in realtà la globalizzazione ha prodotto allo stesso tempo la disoccupazione e il deterioramento delle condizioni di lavoro, l’impiego stabile, a tempo pieno e con pieno salario, è diventato un  privilegio riservato , nelle cento maggiori imprese nordamericane, al 10% del personale, il lavoro precario, discontinuo, a tempo parziale, a orario “flessibile”, tende a diventare la regola”.
L’innovazione tecnologica avrebbe dovuto portare ad una riduzione dei tempi di lavoro senza incidere  sul reddito delle persone ( chi si ricorda ancora delle 35 ore?) e invece abbiamo assistito negli ultimi anni in gran parte del mondo ad un aumento delle ore di lavoro senza sensibili incrementi di ricchezza per gli stessi lavoratori. Un’economia che avrebbe  bisogno di meno lavoro  che potrebbe aprire spazi  prima impensabili per l’educazione, la cultura, le relazioni affettive, per “ la ricchezza umana” sta invece ampliando la forbice sociale come mai era avvenuto nella storia dell’umanità e ” le persone passeranno dunque il loro tempo a vendersi l’un l’altra. Non solo sono tutte merci, ma merci alla ricerca di acquirenti”(Gorz).

In Italia il decimo più ricco della popolazione detiene circa il 50% della ricchezza nazionale e i 5 decimi della parte più bassa della scala solo il 10%, però il 90%% dell’Irpef è versato da dipendenti e pensionati e solo il 10% da professionisti, artigiani, imprenditori e commercianti. 

Parlare in periodi come quello che stiamo attraversando di “reddito di sussistenza” o “reddito di cittadinanza” come base per nuovi e dignitosi rapporti tra stato e cittadini con un uso più razionale delle risorse e una distribuzione più democratica della ricchezza, può sembrare un’eresia ma è, forse, l’unica strada per guardare al futuro con accresciuta speranza. L’economia deve tornare a servire l’uomo e non l’uomo l’economia. “Il fine dello sviluppo globale, come il fine della buona politica nazionale, è di mettere in grado le persone di vivere un’esistenza piena e creativa, sviluppando il loro potenziale e organizzandosi una vita significativa  e all’altezza dello loro uguale dignità umana. In altre parole , il vero scopo dello sviluppo è lo sviluppo umano;altri approcci e valutazioni non rendono conto dello sviluppo delle esistenze umane nella maggior parte dei casi non riflettono sulle priorità umane in maniera ricca, accurata e articolata”(M.Nussbaum). 

La risposta alla crisi può portare a soluzioni opposte come è avvenuto anche nel corso del XX secolo : una svolta autoritaria e nazionalista oppure più partecipazione democratica , redistribuzione della ricchezza e consolidamento dello stato sociale( secondo il premio Nobel Amartya Sen lo sviluppo richiede che siano eliminate le principali fonti di illibertà : “la miseria come la tirannia, l’angustia delle prospettive economiche  come la deprivazione  sociale sistematica, la disattenzione verso i servizi pubblici come l’intolleranza o l’autoritarismo di uno stato repressivo”). 

“Economia solidale, sostenibile e responsabile, commercio equo e solidale, finanza etica, Tobin tax, decrescita consapevole, costituiscono proposte diverse, non sempre necessariamente convergenti, spesso accumunate dalla critica di essere utopiche e irrealistiche, ma che stanno ogni giorno di più dimostrando una innegabile coerenza e una indubbia valenza alternativa rispetto alla crisi del nostro attuale sistema”(Costantino).

E per fare questo ci vuole più Europa e un’Europa più solidale.

 

Leonardo Romagnoli 

14.5.12  

 

“dopo aver desacralizzato tutto scambiandosi con qualche cosa, il denaro tenta invano di sacralizzarsi scambiandosi soltanto con se stesso”(R,Vaneigem)
“Una società dà la misura della sua ignominia quando applaude l’astuzia del predatore, che accarezza per ingannare, e considera stupido aprirsi al mondo e accordare agli uomini una fiducia senza riserve”(R.V.) 

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