Il bosco di castagno

castagne1Considerando Il  diluvio di notizie sui boschi e natura che arriva  dai media e dalla stampa è utile cercare di condensare qualche notizia sul tema, sperando di non annoiare troppo.  Iniziamo col dire che i boschi in Italia  sono stati sempre utilizzati e coltivati fino dal periodo romano. Nel primo secolo dopo Cristo gli autori latini riconducevano a solo 8 le grandi foreste ancora in qualche modo considerate “naturali” e quindi primarie. Le foreste italiane, oggi ammontano a 11 milioni  di ettari rispetto ai 4 milioni del 1930.  Tranne circa 300.000 ettari che la FAO ci concede siano vicine alla naturalità, non sono naturali ormai da più di un millennio. Si capisce così che la quasi totalità delle foreste incluse nelle aree protette e nei Siti di Interesse Comunitario (SIC),  quasi il 20% dell’Italia, non sono naturali. Sono state definite così per l’interesse, legittimo, di molti studiosi nel volerle evolvere verso situazioni semi naturali,  ma questa classificazione non riflette la realtà storica, né è certo che rappresenti un vantaggio. I nostri boschi, come la nostra agricoltura, sono frutto della coltivazione. I contadini li hanno usati per il pascolo dei maiali ed  i pastori per le pecore, abbiamo utilizzato il legname per la costruzione delle città e per riscaldarci. I nostri boschi sono sostanzialmente un prodotto culturale e ci piace iniziare a descriverli dai castagneti da frutto, uno dei boschi  più rappresentativi del nostro paesaggio forestale.

Il castagno ha fornito una vastissima gamma di prodotti: castagne per uso alimentare, legno per innumerevoli usi, foglie per l’alimentazione del bestiame, cortecce per la concia delle pelli, carbone per fondere e lavorare i metalli, tavole per fare le botti dei nostri vini. L’aumento dell’importanza del castagno in Italia va di pari passo con lo sviluppo della civiltà, i diagrammi pollinici mostrano un forte incremento della presenza di questa specie  iniziando   del periodo  romano, passando  dall’8 al 48% del totale dei boschi in pochi secoli. Il ruolo principale  del castagno era di fornire castagne, trasformate in farina e quindi “calorie” per le genti di montagna. La quantità di calorie ricavabili da un ettaro di castagneto era spesso superiore a quelle di un ettaro seminato a grano  in montagna.  castagneti

L’importanza e la diffusione del castagno ha portato a definire la cultura ad esso associata come “la civiltà del castagno”. Il bosco di castagno non è quindi un bosco naturale. E’ un bosco aperto, non molto denso, con un numero di alberi molto più basso rispetto a quanto si trova in un bosco  naturale, anche solo 100 piante ad ettaro, contro un numero superiore a mille nelle foreste più naturali. In questa bassa densità risiede la sua bellezza. Le piante crescono grandi e maestose, non essendo troppo affiancate le une alle altre, aiutate in questo dalle potature che modellano la chioma per produrre castagne. Il bosco è  luminoso e il sottobosco è di solito tenuto a prato per facilitare il pascolo che pulisce la vegetazione invadente, facilitando la raccolta delle  castagne. Un  bosco sicuramente multifunzionale come va di moda dire oggi.

Come il paesaggio agrario anche i nostri boschi sono stati descritti  dai viaggiatori del Grand Tour. Stendhal descrive magistralmente i castagneti del lago  di Como che arrivavano fino alle sue  sponde calando dalle montagne circostanti. Indipendentemente dalle teorie della distribuzione naturale della vegetazione secondo il clima,  lo troviamo dal livello del mare fino a 1500 m dell’Etna. I contadini in Toscana lo piantavano spesso al posto dell’olivo.

Purtroppo il castagneto è in  contrazione, principalmente per l’abbandono delle attività agro-silvo-pastorali.  Andrebbe protetto in modo “attivo”, cioè con  adeguati strumenti di conservazione che consentano di conservarlo attraverso la sua coltivazione.

da I paesaggi rurali

 

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