I numeri di una manovra scandalosa

Manovra, i numeri dello scandalo: tagli a scuola, imprese e cultura per pagare sussidi, pensioni e interessi

di Francesco Cancellato

I numeri del bilancio, nero su bianco, mostrano senza equivoci la direzione di marcia dell’esecutivo: su la spesa pubblica per foraggiare pensionati e assistenzialismo. Chi paga? Studenti e imprese. A proposito di cambiamento

Scusate se torniamo a parlare della manovra del cambiamento, ma sono passati in cavalleria, i numeri del bilancio pubblico riclassificato per “azioni politiche”, allegato al disegno di legge di bilancio votata, senza discussione alcuna, negli ultimi giorni dell’anno. Numeri del governo, quindi, non dei gufi. E forse, a distanza di qualche giorno, quei numeri meritano un breve ripasso, giusto per capire di che morte moriremo, e quale sia stata la direzione del “cambiamento” del governo di Lega e Cinque Stelle, attraverso quella legge di bilancio che, nelle intenzioni, doveva essere il manifesto programmatico di una nuova stagione politica, di una nuova agenda di priorità.
Ecco: in quell’agenda, numeri alla mano, c’è tanta spesa pubblica e zero revisione della spesa. Ci sono più sussidi e meno incentivi alle imprese. Ci sono tanti soldi in più ai pensionati e tanti soldi in meno a istruzione e cultura. E ci sono un sacco di interessi in più da pagare ai nostri cari creditori, i veri sovrani del sistema Italia.

I numeri, dicevamo: complessivamente, nei prossimi tre anni, la spesa pubblica aumenterà di circa 51 miliardiE meno male che Luigi Di Maio diceva che aveva nel cassetto un piano per la revisione della spesa da circa 30 miliardi e che sapeva bene dove avrebbe dovuto tagliare. Niente di niente. Per il triennio 2019-2021 la spending review propriamente detta si ferma a 1,4 miliardi tagliuzzati qua e là tra le spese dei diversi ministeri. Alla faccia del cambiamento.

E di cambiamento ce n’è poco pure dentro quei 51 miliardi di spesa in più. Che, al solito, finiscono nelle tasche dei nostri creditori, che si intascheranno 8,5 miliardi di interessi in più sui titoli di Stato. Nel 2021, stando al documento del governo, la spesa per interessi raggiungerà – spread permettendo – gli 82,7 miliardi di euro (oggi sono 74,2). Una cifra molto simile a quella che spenderemo per pagare le pensioni, il cui costo cresce in tre anni di circa 4 miliardi, da 85 a 89 miliardi di euro, e per i sussidi sociali, che passano da 40 a 42 miliardi circa. Pensioni e assistenzialismo. O se preferite, Quota 100 e reddito di cittadinanza.

A farne le spese – che sorpresa! – è l’istruzione, motore dello sviluppo per tutto il resto del pianeta, fastidioso orpello con cui fare i conti per la repubblica degli analfabeti funzionali, che ancora si crede la culla della cultura planetaria, forse per quel patrimonio culturale cui vengono tolti 800 milioni di euro. Nero su bianco, Lega e Cinque Stelle tagliano del 10% la spesa per l’istruzione scolastica, che passa da 48 a 44 miliardi nel giro di tre anni, disinvestendo prevalentemente nell’istruzione primaria (meno due miliardi) e negli insegnanti di sostegno (quasi un miliardo e mezzo in meno). Magra consolazione, 200 milioni in più per l’istruzione universitaria.

Più inattesi, dopo gli squilli di tromba sulla flat tax e sul governo delle piccole imprese, i tagli al mondo dell’impresa. Gli stanziamenti in favore di competitività e lo sviluppo crollano dai 24,7 miliardi del 2019 ai 19,6 miliardi del 2021, figli di un taglio di 2,3 miliardi agli incentivi fiscali legati al piano industria 4.0, quello che doveva rilanciare l’innovazione tecnologica e la produttività – a crescita zero, unici al mondo – della nostra economia. A proposito di ossessioni per la crescita. Non preoccupatevi, però: il costo delle politiche per l’immigrazione diminuisce di ben 400 milioni in tre anni, da 3,3 a 2,9 miliardi. Un decimo, rispetto ai tagli all’istruzione. Ma vuoi mettere, la soddisfazione?

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