Ferrovie: quanta opacità sui sussidi

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I bilanci delle società ferroviarie, di Stato o in concessione, tendono a non distinguere tra ricavi e sussidi. E a nascondere il sottoutilizzo delle linee. Non è un esempio di trasparenza. Ma è un comportamento coerente se l’obiettivo reale è poter gestire la spesa, anche la più inefficiente.

Sussidi e ricavi

La trasparenza sulla destinazione dei fondi pubblici e sui risultati della spesa è un’esigenza democratica oggi non più derogabile. Ma nel settore ferroviario siamo molto lontani da un risultato accettabile, e il problema appare ancor più rilevante dopo il tragico incidente del luglio scorso in Puglia.
Questo articolo ha un’origine peculiare: il suo coautore è un cittadino catanese, che ha condotto una indagine informata, ma non specialistica, sui sussidi e le prestazioni delle ferrovie concesse, basandosi su quanto disponibile in rete e sul Conto nazionale dei trasporti. L’opacità sembra totale, soprattutto per la molto diffusa tendenza a non distinguere i ricavi da traffico dai sussidi pubblici; o comunque a renderne difficoltosa la distinzione, accumunandoli sotto la voce “ricavi da servizi e prestazioni”.
La tabella qui allegata consente di classificare le imprese ferroviarie in concessione in tre tipi: quelle per cui i sussidi sono leggibili senza eccessive difficoltà, quelle (su fondo rosso) dove risulta impossibile distinguerli dal dato aggregato dei ricavi e infine quelle che non forniscono al pubblico i dati di bilancio, a volte specificando graziosamente che “i bilanci sono ottenibili su richiesta”. Per alcune il dato probabilmente esiste sul web, ma occultato in una complessissima e super-analitica struttura di bilancio, che lo rende di fatto difficile da evidenziare anche per uno specialista.
Ora, guardando i risultati leggibili, si possono osservare risibili coperture dei costi di solo esercizio, tali persino da far pensare che in alcuni casi la gratuità completa del servizio possa essere una scelta razionale, sia in termini di riduzione dei costi di esazione che di aumento della domanda. Ma soprattutto il fenomeno più clamoroso che sembra emergere è la sottoutilizzazione dell’offerta.
Una ferrovia a semplice binario, a scartamento ordinario, ha una capacità di almeno ottanta treni al giorno e un treno locale ha una capacità di almeno 400 passeggeri. Una utilizzazione accettabile della capacità offerta, in modo totalmente indicativo e quindi senza calcoli, potrebbe essere del 60 per cento, cioè cinquanta treni al giorno, ciascuno con in media 250 passeggeri. Al di sotto di questa soglia i costi per passeggero trasportato, indipendentemente dalle tariffe, cioè dai ricavi, tendono a divenire proibitivi rispetto a un buon servizio di autobus, e tendono a divenire trascurabili anche gli eventuali benefici ambientali. Insomma, un treno vuoto non serve a niente e a nessuno.
Sulla domanda servita, i dati disponibili sono molto scarsi, ma la sua esiguità, nonostante le bassissime tariffe italiane, sembra spesso clamorosamente confermata.
Un caso tra tutti: per le ferrovie calabresi, il sussidio per passeggero trasportato risulta di 42 euro circa, contro un valore di 3 euro circa per un analogo servizio di autobus.
Allora bisogna concludere che l’opacità appare un comportamento perfettamente razionale da parte dei concessionari. Treni semivuoti generano costi pubblici indifendibili, per unità di traffico servito, quindi nasconderli per quanto possibile è un modo ovvio per impedire o ritardare la chiusura di linee fortemente sottoutilizzate.treni3

Un unico obiettivo

Il diffuso successo dello sforzo di occultamento evidenzia anche un’ampia tolleranza da parte dei decisori politici locali e centrali, i quali notoriamente hanno come obiettivo non esplicito la massimizzazione delle risorse pubbliche da gestire, cioè della spesa di settore. E tale è il sottoutilizzo di alcuni servizi ferroviari che in qualche caso è il medesimo gestore a offrire servizi autobus sostitutivi, pur senza eliminare del tutto le corse su ferro.
Per rimanere nell’ambito delle ferrovie locali, ad esempio la presentazione del nuovo affidamento senza gara a Trenitalia dei servizi toscani prevede un forte aumento dei costi pubblici per investimenti, senza curarsi di specificare in alcun modo come varieranno la domanda e i ricavi del servizio, cioè l’onere pubblico per passeggero trasportato.
L’impresa “maestra” nell’operazione di occultamento dei sussidi sembra essere proprio quella dominante, cioè Ferrovie dello Stato italiane (Fsi). La presidente, Gioia Ghezzi, in una recente e lunga intervista a La Repubblica, corredata da una ricca messe di dati economici, non ha mai neppure accennato al peso relativo e assoluto dei trasferimenti pubblici sugli “eccellenti” risultati della società e neppure appare un dato che ne parli. Come se i trasferimenti dalle esangui casse pubbliche e i ricavi dal mercato non meritassero alcuna distinzione, mentre notoriamente i trasferimenti sono vitali per la sopravvivenza stessa dell’impresa. I “fratelli minori” locali si sono certo adeguati con convinzione, trovandosi in circostanze identiche.
Ora, non sembra possibile confondere la “cura del ferro” continuamente auspicata per i trasporti italiani con il festival dello spreco delle risorse pubbliche. Ma tutto invece sembra chiaro, se l’obiettivo reale è la massimizzazione della spesa, anche la più inefficiente.

Tabella 1

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1) I ricavi in rosso sono indicati come “Ricavi delle vendite e delle prestazioni” e di cui non è presente il dettaglio.
2) I dati FSE sono espressi in Euro/km.
3) I dati non riportati non sono presenti nei rispettivi bilanci. Per le ultime 5 società i bilanci non sono stati trovati.
4) ATAC e GTT sono esclusi dalla tabella a causa del ridotto perso della componente ferroviaria nel bilancio.

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